“Quando posso rivedere mio padre?”, dal carcere la richiesta della 17enne di Altavilla

La giovane avrebbe ammesso la catena di aggressioni e sevizie sostenendo: “Non c’era altro modo per sconfiggere il male”. 

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Ha chiesto di rivedere il padre la ragazza di 17 anni coinvolta nella vicenda della strage di Altavilla Milicia, nel Palermitano. La giovane si trova attualmente in carcere accusata di omicidio e soppressione di cadavere così come il padre, Giovanni Barreca, a seguito della brutale uccisione di Antonella Salamone, rispettivamente madre e moglie dei due indagati, e dei figli Kevin ed Emmanuel, fratelli della giovane.

Il decesso dei tre – com’è ormai noto – sarebbe avvenuto nella cornice di un rito di liberazione da “presenze demoniache” che avrebbero posseduto gli uccisi e che avrebbe visto la partecipazione di una coppia di palermitani, Massimo Carandente e Sabrina Fina.

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Giovanni Barreca, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio, ha chiamato i carabinieri confessando il delitto e facendosi trovare a Casteldaccia. La figlia è stata rinvenuta, invece, all’interno dell’abitazione: era addormentata e accanto a sé aveva i cellulari dei fratelli e della madre. Si ipotizza che i dispositivi possano essere stati sottratti ai familiari affinché questi non potessero chiedere aiuto.

Diversamente da quanto era sembrato emergere all’inizio, la giovane avrebbe raccontato agli inquirenti di aver avuto un ruolo attivo nel rituale, torturando la madre e i fratelli e partecipando anche al seppellimento dei resti della donna, il cui corpo era stato prima dato alle fiamme.

“Non c’era altro modo per sconfiggere il male”. 

L’autopsia sulle vittime del massacro, secondo le prime indiscrezioni trapelate, confermerebbe il quadro sconcertante. Nell’ordinanza di custodia cautelare della 17enne sono infatti ricostruiti gli agghiaccianti riti di purificazione: Antonella sarebbe stata picchiata con una pentola e poi ustionata con delle pinze da camino e con il phon bollente, il piccolo Emmanuel, 5 anni, legato al letto con delle catene. L’ultimo a morire sarebbe stato il 16enne, Kevin. La sorella avrebbe raccontato: “Soffriva per il dolore, lo avevano legato al collo con una catena arrugginita e dei cavi elettrici. Gli adulti mi hanno detto di saltargli sulla pancia e l’ho fatto”.

La giovane avrebbe ammesso la catena di aggressioni e sevizie sostenendo: “Non c’era altro modo per sconfiggere il male”. 

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