La malasanità palermitana e i silenzi che uccidono due volte, il caso di Vasilica Vlad

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La piaga della malasanità palermitana continua ad infettarsi giorno dopo giorno, episodio sospetto dopo episodio sospetto. D’altronde, i dati pubblicati il 24 maggio dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, non mentono. Tra le 12 aziende ospedaliere italiane con le peggiori performance, nel monitoraggio delle aziende sanitarie relative al 2021, compaiono all’ultimo posto due aziende palermitane: Villa Sofia Cervello e Ospedale Civico. Solo nell’ultimo anno, sono stati diversi gli episodi di presunta malasanità registrati nei nosocomi siciliani. I problemi principali riscontrati riguardano le carenze di personale e la mancanza di posti letto. E come sempre a pagarne le conseguenze sono i pazienti.

Ci sono poi i cosiddetti “cold case” di malasanità, episodi sospetti sui quali si deve ancora far luce a distanza di anni. Uno di questi riguarda la povera Vasilica Vlad, una donna di 43 anni morta il 27 dicembre 2019 al pronto soccorso di Villa Sofia nel quale era giunta per una banale caduta in strada. La donna, nata a Târgu Neamƫ in Romania, viveva a Palermo con il marito Vincenzo Palazzolo che, alla nostra redazione, racconta le ultime ore drammatiche della sua Vasilica:  “Alle ore 10.45 venivo avvisato da un soccorritore, che aveva avuto il mio numero comunicato a memoria da mia moglie, che Vasilica stava per essere portata in ospedale poiché era caduta in strada e si era procurata una ferita al volto”.

L’arrivo al pronto soccorso e l’improvviso decesso

Il marito, che in quel momento si trovava nelle vicinanze di Villa Sofia, decide di andare in ospedale riuscendo addirittura ad anticipare l’arrivo del mezzo del 118 con a bordo la moglie. Una volta arrivata l’ambulanza, Palazzolo si affianca subito alla barella di Vasilica: “Veniamo instradati alla sala numero 1 da un dottore – continua il marito -. Vasilìca ha il volto tumefatto perché è caduta a terra sbattendo il viso, senza potersi riparare con le mani. Agitata e impaurita mi dice di voler andare a casa, ma le rispondo che ha bisogno di cure, che è in buone mani  e che, comunque, non mi allontanerò da lei fino a quando non sarà dimessa dall’ospedale”. Ma la situazione, a quel punto, precipita repentinamente e misteriosamente. 

All’interno del pronto soccorso, spiega Palazzolo trovano “oltre al dirigente, due operatori sanitari, uno di sesso maschile e un’altra di sesso femminile che procedono, immediatamente, con la visita internistica per individuare la terapia più adatta”. Sembra procedere tutto regolarmente fino a quando “viene disposto dal responsabile di effettuare un prelievo di sangue per un esame di routine. A questo punto l’operatrice sanitaria  cerca di prendere una siringa dalla cassettiera che si trova alle sue spalle; ma non ne trova nessuna. Decide quindi di allontanarsi per andarne a cercare un’altra”.

La situazione precipita, la donna muore

Nel frattempo l’operatore rimasto in sala si allontana anche esso – racconta Palazzolo – salvo poi ritornare munito di una siringa di dimensioni spropositate (60 cc) e prima che io possa capire le sue intenzioni, senza neanche cercare di individuare l’accesso, con il braccio teso e tutta la forza d’inerzia del suo movimento, conficca l’ago sul lato sinistro del collo della povera Vasilìca. Il lungo ago si conficca quasi completamente e, nello stesso istante, mia moglie (che aveva  la testa un po’ sollevata) reclina il capo indietro, battendolo sulla testata della barella e perdendo i sensi”.  

Al pronto soccorso di Villa Sofia a quel punto si crea il panico: i sanitari fanno uscire il marito. Sono circa le 11.30. “Non ho alcuna notizia di quanto stava accadendo per circa mezz’ora, quando trascorso questo intervallo di tempo, vedo la porta della sala n.1 aprirsi leggermente. Compare il dottore che mi fa segno di avvicinarmi e poi attraverso la porta socchiusa mi consente di vedere che una persona in camice bianco sta praticando sulla paziente delle manovre rianimatore. Ma si notava benissimo che ormai il corpo della povera Vasilìca era inerte. Alle 11.50 è arrivato il rianimatore e alle 12.20 è stato constatato il decesso”.

L’iter giudiziario

Dopo il decesso della donna, è arrivata subito la polizia. Gli agenti hanno ascoltato alcuni sanitari per capire cosa fosse successo. “A tutt’oggi però non è stato mai sentito colui che ha fatto il prelievo con quella grossa siringa”, sottolinea Palazzolo. Il pm nomina un consulente tecnico per eseguire l’esame cadaverico, il quale dalla tac post mortem stabilisce che “il decesso della donna sarebbe da attribuire ad arresto cardiocircolatorio per verosimili cause patologiche”.

Viene interrogato il dottore che si è preso subito cura della donna una volta arrivata al pronto soccorso di Villa Sofia. “Siccome la paziente era molto agitata, ho dovuto somministrare un calmante (diazepam, ndr) – ha dichiarato agli agenti del Commissariato San Lorenzo -. Una volta tranquillizzata abbiamo fatto un prelievo per gli esami di routine. Alle 11.47 la signora Vlad ha perso coscienza, diventando aritmica. Ho iniziato il massaggio cardiaco, poi su mia richiesta è intervenuto il rianimatore che ha iniziato le sue procedure salva vita. Alle 12.20 si constatava il decesso della paziente”.

Alla domanda sulle modalità del prelievo fatto alla signora, il medico ha risposto “che non ricordava i fatti e non aveva nulla scritto tra i referti”, precisando però che “il tipo di siringa ha poca importanza e non può causare il decesso di una persona”.

Viene quindi chiesta a gennaio 2020 l’archiviazione del caso, ma il marito della donna attraverso il suo avvocato presenta querela opponendosi alla richiesta. La tesi del consulente della parte lesa è che la morte della signora Vlad possa essere riconducibile a un’embolia gassosa causata dal prelievo effettuato con la grossa siringa. Per tale motivo il giudice accoglie l’opposizione disponendo “una nuova consulenza tecnica affidandola nuovamente allo stesso identico medico legale, questa volta affiancato da una collega”.

Caso archiviato dopo nuova consulenza

Il magistrato nell’atto specificava di valutare eventualmente di eseguire un’autopsia, di riesumare la salma per rispondere a una serie di quesiti. Ma nulla di tutto ciò è stato mai fatto. “Nella consulenza depositata in data 21.6.2022 i consulenti del P.M. escludevano in maniera netta la causa della morte di Vlad Vasilica nell’embolia gassosa (una causa alternativa
prospettata dal consulente dell’opponente) richiamando la relazione dello specialista radiologo incaricato di esaminare la Tac effettuata post-mortem e conseguentemente concludevano per morte improvvisa da cause patologiche naturali.
Invero, lo specialista radiologo riteneva, in estrema sintesi, che la minima quantità d’aria rivelata dall’esame di TC appare del tutto ininfluente ed inidonea a cagionare una embolia mortale”.

Nell’opposizione presentata dalla difesa di Palazzolo si contestavano le conclusioni ribadite ancora una volta senza nessun procedimento. A gennaio di quest’anno il gip ha accolto l’ennesima richiesta d’archiviazione, chiudendo il caso. Il marito della donna commenta amareggiato:Come parte lesa avevo già intuito come sarebbe andata a finire. Come cittadino, invece, sono rimasto stupito dal modo in cui il procedimento si è sviluppato nel corso di 1120 giorni. L’indagine è stata, quasi esclusivamente, orientata all’aspetto clinico. Ma io avevo denunciato anche fatti che interessavano altri ambiti. Questi fatti sono stati ritenuti irrilevanti e non meritevoli di ulteriori approfondimenti”.

Telecamere nei pronto soccorso

Ed è alla luce della sua triste vicenda che il signor Palazzolo propone di dotare gli ospedali di videocamere nei luoghi aperti al pubblico: “Oggigiorno la maggior parte delle indagini che riguardano l’accertamento di fatti di rilevanza penale si basa, in gran parte, sulla visualizzazione delle registrazioni effettuate dalle telecamere installate in prossimità dei luoghi dove questi fatti si verificano. Le sale di pronto soccorso dovrebbero rientrare tra queste. Se nel mio caso, queste ci fossero state, la verità sarebbe stata quella dell’occhio imparziale della telecamera e non delle semplici ricostruzioni dei fatti”.

Sanitari non sempre all’altezza

Per il marito di Vasilica, anche quando quelle poche volte ci si trova davanti a un medico che sembra non essere all’altezza della situazione, a pagarne sempre le conseguenze è il paziente. Ovviamente la maggior parte dei sanitari che operano nelle unità di pronto soccorso è formata da persone preparate e pienamente all’altezza del delicato compito loro assegnato. Ma il problema resta per i pazienti, che loro malgrado, incappando in quella sparuta minoranza non all’altezza, talvolta pagano con la vita”.

Il grande problema, secondo Palazzolo è anche un altro: “I familiari di una vittima di, presunta, malasanità che denunciano fatti di rilevanza penale, sono soli nell’affrontare un lungo procedimento. Al primo punto c’è lo squilibrio delle forze campo. Da un lato c’è una famiglia o talvolta una singola persona rimasta sola che non sempre ha le risorse economiche e talvolta anche emotive per affrontare queste situazioni. Dall’altro c’è un’istituzione ben attrezzata per schivare le accuse. Poi la difficoltà di raccogliere la documentazione e talvolta anche quella di ottenere le consulenze di parte. Infine le lungaggini della giustizia”.

Aiutare le vittime di malasanità

La vicenda della moglie ha spinto Palazzolo a voler aiutare chi come lui si è trovato ad avere a che fare con la giustizia italiana per casi presunti di malasanità. “Alla luce di queste considerazioni, ho maturato la convinzione che le persone che, purtroppo, si trovano in questa situazione abbiano bisogno principalmente di condividere il loro dramma con persone che hanno avuto esperienze simili e che insieme possano sostenersi nel lungo e stressante percorso che dovranno affrontare”.

“Per questa ragione ho pensato di costituire un comitato che a breve avrà una sede e un sito web e dove chiunque vorrà raccontare il suo caso e condividere la sua esperienza sarà il benvenuto”. Il marito della giovane donna scomparsa non si arrende, vuole chiarire cosa realmente è accaduto quel maledetto 27 dicembre del 2019 . Per questo è anche in contatto con il paese di origine della coniuge, la Romania, e sta cercando di far arrivare il caso anche al Parlamento italiano.

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