«Arcuri a processo per le mascherine»: l’ex commissario Covid accusato di frode

L’accusa ad Arcuri è stata formulata in relazione alla maxi fornitura dalla Cina di 800 milioni di mascherine, dal valore di 1,2 miliardi di euro

La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri per abuso d’ufficio. Nell’inchiesta sulla maxi fornitura da 1,2 miliardi di euro di mascherine dalla Cina viene chiesto il processo anche per il suo ex braccio destro Antonio Fabbrocini in qualità di Rup, responsabile unico del procedimento di quella commessa. I magistrati contestano ad Arcuri la frode in pubbliche forniture e falso documentale per le mascherine non a norma. Inoltre sono inquisiti anche i mediatori che sulla commessa avrebbero intascato circa 78 milioni di euro di commissione.

Percentuali che avrebbero ottenute, secondo i magistrati, grazie alle relazioni «personali e occulte» di Mario Benotti, ex giornalista Rai, con l’ex commissario all’emergenza. In questa operazione un  un «socio» di Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi, assieme all’ex banchiere di San Marino, Daniele Guidi, si sarebbe occupato della fornitura. Inoltre i soldi intascati non sono stati il frutto di una provvigione formale, messa nero su bianco, in «forma scritta ad substantiam dei contratti stipulati». Insomma un rapporto con la struttura commissariale mai formalizzato.

Le accuse per Arcuri e Fabbroncini

Arcuri e Fabbrocini sono accusati di avere omesso «intenzionalmente di palesare il rapporto di mediazione che la struttura commissariale intratteneva con Tommasi, lasciandolo irresponsabile delle importazioni». Avrebbero anche concesso «alle società cinesi anticipazioni dei pagamenti a carico della merce in Cina, prima di ogni verifica in Italia sulla qualità delle forniture e validità dei documenti di accompagnamento». Una differenza di trattamento sostanziale rispetto «a tutti gli altri importatori italiani», a cui i negavano anticipazioni dei pagamenti, imponendo loro di acquistare» con i costi «a proprio carico» i dispositivi”. Quindi  favorendo di fatto  l’offerta dei partner di Benotti.

Nell’abuso d’ufficio contestato ad Arcuri si evidenzia anche «l’assenza di controllo pubblico sull’importo delle provvigioni in danno del fondo speciale del governo». C’è poi la qualità delle 800 milioni di mascherine pagate alle tre aziende cinesi, che sono risultate non conformi dopo le analisi eseguite dai laboratori incaricati dalla Procura. Eppure avevano avuto il via libera dal comitato tecnico scientifico, nonostante una documentazione inizialmente non a norma, ma poi integrata fino a ottenere il semaforo verde.