Perché le dita in acqua diventano raggrinzite? La spiegazione della scienza

La fortuna di vivere in Sicilia è quella di avere il mare a un passo dalla propria abitazione. Spesso capita, soprattutto nella giornate afose, di stare in acqua per un lungo periodo e che nelle mani e nei piedi compaiono delle rughette. Ma perché si vengono a formare?

Nel passato si pensava che questa rugosità fosse una risposta passiva degli strati superficiali della pelle, che si gonfiavano mentre l’acqua si infiltrava al loro interno, in un processo chiamato osmosi In realtà, col tempo, si è scoperto che è un fenomeno controllato dal sistema nervoso.

Lo strato corneo, ovvero la parte più superficiale dell’epidermide, è infatti costituito dalla cheratina, una proteina che tende naturalmente a legarsi all’acqua e alle sostanze grasse, e che quindi si gonfia quando si resta immersi a lungo. In pochi minuti lo strato corneo diventa più ampio rispetto alla superficie sottostante e forma quindi delle pieghe.

Questo fenomeno – reversibile in genere dopo una ventina di minuti – interessa mani e piedi, perché in queste zone la cheratina è più abbondante rispetto ad altre parti del corpo, che non a caso restano invece inalterate.

Dita raggrinzite: perché? 

Tom Smulders, neuroscienziato evoluzionista dell’Università di Newcastle, nel Regno Unito,  ha condotto qualche anno fa sul tema, rilevando che la rugosità può aver dato ai nostri antenati un vantaggio fondamentale quando, ad esempio, si trattava di camminare su rocce bagnate o di afferrare rami. In alternativa, avrebbe potuto aiutarci nella cattura o nella ricerca di cibo come i crostacei.

In un altro caso, un team di ricerca guidato dal professor Nick Davis, neuroscienziato e psicologo della Manchester Metropolitan University, che insieme ai colleghi ha condotto uno studio sulle rughe dei polpastrelli con 500 volontari. “Le rughe hanno aumentato la quantità di attrito tra le dita e l’oggett”.

“Ciò che è particolarmente interessante è che le nostre dita sono sensibili a questo cambiamento nell’attrito superficiale e utilizziamo queste informazioni per applicare meno forza per afferrare un oggetto in modo sicuro”.