Omicidio allo Sperone, Camillo Mira al giudice: “O morivo io o morivano loro, ho sparato per difendermi”

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Camillo e Antonio Mira, padre e figlio, sono stati interrogati dal gip Filippo Serio accusati dell’omicidio di Giancarlo Romano e del ferimento di Alessio Caruso durante una sparatoria avvenuta nel quartiere Sperone di Palermo lunedì pomeriggio.

Il figlio si è avvalso della facoltà di non rispondere mentre il padre, Camillo, che ha confessato di aver colpito mortalmente Romano ha ribadito di essersi difeso: “Mi hanno sparato, o morivo io o morivano loro. Mi sono difeso, non volevo ucciderlo”. Camillo Mira ha affermato che voleva difendere il figlio Pietro che era stato picchiato. 

Il saldo di un debito e gli spari davanti un’agenzia di scommesse

La vittima, Giancarlo Romano, 37 anni, e il ferito, Alessio Caruso di 29, pretendevano il saldo di un debito di 2.500 euro dai Mira gestori di un’agenzia di scommesse. Le telecamere di video sorveglianza delle zone interessate hanno filmato la successione degli scontri fra i due gruppi contrapposti. Dalle indagini è venuto fuori che tutto avrebbe avuto inizio quando Pietro, un figlio di Camillo Mira, poco prima dell’inizio della ‘battaglia’ è stato preso a pugni da Caruso, all’interno dell’agenzia.

La reazione dei Mira

Sarebbe questo l’episodio che avrebbe scatenato la vendetta dei Mira. Infatti alle 17:54 di lunedì 26 febbraio, poco dopo la lite fra Pietro Mira da Alessio Caruso, in corso dei Mille le telecamere hanno registrato l’arrivo di una Jeep Compass che si è fermata davanti all’ingresso dell’agenzia di scommesse, dove c’è ancora Alessio Caruso. Dall’auto sono scesi Camillo e Antonio Mira, padre e figlio. Camillo ha una pistola, che nasconde dietro la schiena. Ma non fa in tempo a usarla perché Caruso, che aveva capito tutto, lo anticipa, e, pistola in pugno anche lui, scappa sparando. Mira senior lo insegue, esplode una raffica di colpi anche lui, ma viene ferito ad una gamba. Nonostante ciò, riesce a risalire sulla Jeep.

Le immagini della tabaccheria

La scena ripresa dalla prima telecamera si interrompe qui, ma continua pochi minuti dopo con le riprese della telecamera posizionata nei pressi della tabaccheria di Giancarlo Romano. Si vede l’arrivo di Caruso in sella ad uno scooter, su cui sale anche Romano. Vanno a cercare i Mira, si dirigono verso la via XXVII Maggio e li raggiungono. Ma vengono accolti dai proiettili che uccidono Romano e feriscono gravemente Caruso. Tutto è avvenuto in 26 minuti, dalle 17:54 alle 18:20.

Caruso voleva la percentuale delle scommesse clandestine che erano gestite dai Mira, quest’ultimi però non avevano i soldi come confermato dallo stesso Camillo al gip: “già pagavamo chi vinceva”, ha detto. Non è chiaro, però, per chi Caruso pretendesse il denaro, L’ipotesi più plausibile per la Procura di Palermo è che dietro a tutto c’era Romano, figura emergente a Brancaccio. La cosa certa è che il giro d’affari è notevole e che i coinvolti sono diversi.

Intanto il giudice deciderà nelle prossime ore sulla convalida del fermo per i Mira e anche per Alessio Caruso ricoverato in prognosi riservata al Policlinico di Palermo. 

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