Notaio, commercialista e il titolare di una nota polleria: la borghesia mafiosa per il clan Resuttana

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L’operazione “Resurrezione” portata a termine dalla Polizia di Stato con 18 persone arrestate appartenenti al clan Resuttana ha portato alla ribalta il ruolo della borghesia mafiosa come collaboratore dei boss. Infatti tra i diciotto arrestati ci sono anche un notaio, un commercialista e il titolare di una nota polleria. 

Il ruolo chiave però lo aveva Salvatore Genova che dal 2019, una volta uscito dal carcere, aveva ripreso il controllo del clan Resuttana che comprende anche il mandamento di Acquasanta e dell’Arenella. In manette è finito lui insieme al suo braccio destro Sergio Giannusa, ma anche degli “insospettabili” professionisti.

La “zona grigia” degli insospettabili

Il primo è commercialista Giuseppe Mesia il quale ha fatto da mediatore sul prezzo della compravendita della gelateria “GELATO2” di via Alcide De Gasperi. Una transizione imprenditoriale che riguardava Michele Micalizzi, reggente della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, acquirente tramite la società MAGI srl della gelateria. Il notaio Sergio Tripodo, anche lui in manette, si sarebbe rivolto al clan mafioso poiché essendo proprietario di alcuni appartamenti nella zona del Mercato Ortofrutticolo voleva che gli inquilini liberassero le case. Il metodo utilizzato è stato quello dell’intimidazione. 

Arrestato Benedetto Alerio, titolare dell’Antica Polleria Savoca di piazza San Lorenzo. La Squadra Mobile e la locale Sezione Investigativa dello SCO sono state delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ad eseguire il sequestro preventivo delle società ALMOST FOOD s.r.l.s. e la GBL FOOD s.r.l.s. che gestiscono la nota catena di polleria. Non solo il punto di San Lorenzo, ma anche uno in via Catullo 13, nella borgata marinara di Sferracavallo e un altro in via Mattei a Mondello. Tale provvedimento ablatorio è suffragato dal documentato controllo da parte del sodalizio criminale delle attività economiche con forme di penetrazione tale da poter rientrare nella nozione di “impresa mafiosa”.

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L’odierno provvedimento, emesso dal G.I.P. di Palermo, si basa sui gravi indizi di colpevolezza e su un quadro indiziario emerso nel corso delle indagini, significando che le piene responsabilità penali per i fatti indicati saranno accertate in sede di giudizio. Per le delicate fasi dell’operazione l’attività esecutiva è supportata dai reparti speciali della Polizia di Stato tramite equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine, dell’unità cinofila e di un elicottero.

Imprenditore di scarpe organizzava incontri ai boss

Altro imprenditore che era a totale disponibilità del clan è Giovanni Quartararo, 55 anni è imprenditore di una nota catena di scarpe. Per l’io l’accusa è di concorso esterno. Secondo l’accusa avrebbe fornito ai boss “un aiuto consapevole ed oggettivamente apprezzabile nell’attuazione del programma criminoso”. Ha organizzato ad esempio diversi incontri tra Mario Muratore e Settimo D’Arpa per gestire con maggiore sicurezza gli affari del clan. 

Pizzo alle attività e controllo dei servizi funerari

Le acquisizioni investigative hanno delineato un quadro indiziario, accolto dal GIP di Palermo, in cui gli odierni destinatari dei provvedimenti di cattura sarebbero ritenuti coinvolti nella gestione di attività criminali esercitate all’interno del mandamento. Particolare riferimento alla deprecabile azione della riscossione del pizzo in danno di esercenti di attività commerciali e imprenditori di zona, nonché il controllo e la gestione dei servizi funerari presso l’ospedale di Villa Sofia di Palermo. Attività illecite che rappresentano per la famiglia mafiosa di Resuttana fonte primaria di guadagno.

In tale ambito è stata richiamata nel provvedimento del GIP la costante pressione del fenomeno estorsivo, che si rivela ancora una volta uno strumento indispensabile utilizzato da cosa nostra per mantenere il controllo del territorio di riferimento e garantirsi il sostentamento dell’organizzazione e delle famiglie dei detenuti.

Tale forma di depredamento si ritiene esercitata mediante diverse condotte, come la cosiddetta “messa a posto”. Si tratta dell’esborso di una somma di denaro da far confluire nella “baciliedda” a disposizione della cosca, nonché nel recupero dei crediti vantati da soggetti vicini alla “famiglia”. Tali forme di “pressione” sono risultate molto diffuse, se si considera che il territorio in cui ricade il mandamento investigato è tra quelli in cui vi è maggiore incidenza di attività produttive in città.

18 arresti a Palermo, i NOMI

Sono finiti in carcere: Agostino Affatigato, Benedetto Alerio, Salvatore Castiglione; Settimo Giuseppe D’Arpa, Girolamo Federico, Giuseppe Di Maria, Salvatore Genova; Carlo Giannusa, Sergio Giannusa, Francesco Leone, Giuseppe Mesia; Michelangelo Messina, Mario Muratore, Mario Napoli, Giovanni Quartararo e Michele Siragusa.

Agli arresti domiciliari, invece, Sergio Tripodo e Francesco Balsameli.

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