L’agonia dell’antimafia siciliana, dalla preside dello Zen alla Chinnici: la lista si allunga

Alla ‘caduta dei miti’ purtroppo assistiamo da parecchio tempo. Non è difatti la prima volta che personaggi che ricoprono alte cariche finiscano poi per ingannare tutti gli altri, in primis loro stessi

In Sicilia può accadere di tutto e questi ultimi giorni ce lo hanno ampiamente dimostrato. Ancora nessun unicorno avvistato nei cieli di Palermo, ma gli abitanti del capoluogo sono rimasti comunque debitamente sorpresi.

Succede che una preside di una scuola che porta il nome di Giovanni Falcone, fatto saltare in aria e ucciso da Cosa Nostra nella Strage di Capaci, venga indagata e arrestata per corruzione e che Caterina Chinnici, eurodeputata del PD e figlia di Rocco, ideatore del pool antimafia e assassinato, passi al partito con maggiori indagati e condannati per concorso in associazione mafiosa. Così, come avvolte da una nebbia che stordisce, le due donne, paladine dell’antimafia palermitana e non solo, si lasciano trasportare da “un’attrazione fatale” anche con una certa noncuranza.

La preside dello Zen: dal Don Chisciotte ad Arsenio Lupin

Dalle riprese video diffuse in questi ultimi giorni pare che la preside Lo Verde non si facesse scrupoli nel rubare tablet e buste della spesa ai suoi alunni. Davanti alle telecamere, grande impegno civico e senso morale nel dirigere una scuola in uno dei quartieri più difficili della città, la Don Chisciotte contro i mulini a vento. Peccato però che non appena l’obiettivo non la centrasse come chiedeva (o comunque a sua insaputa), si trasformasse in un abile Arsenio Lupin con tanto di ghigno.

Caterina Chinnici e la mancata parola

E ancora Caterina Chinnici, magistrato come il padre, che neanche un anno fa accettava la candidatura alla presidenza della Regione per il centrosinistra a patto che nelle liste non ci fossero persone con procedimenti penali pendenti, volta le spalle ai suoi fedeli elettori senza dir troppo per “sbarcare” sulla sponda opposta. Per carità, nessun reato contestabile, ma politicamente e moralmente è una scelta che può avere effetti devastanti. 

Alla ‘caduta dei miti’ purtroppo assistiamo da parecchio tempo. Non è difatti la prima volta che personaggi che ricoprono alte cariche nella politica, giustizia, imprenditoria, sfruttando la loro ferma posizione contro la mafia, finiscano poi per ingannare tutti gli altri, in primis loro stessi.

La lunga lista dei falsi paladini antimafia

Basti pensare alla Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, libera di decidere come e a chi far gestire (amici e figli degli amici) i patrimoni confiscati ai mafiosi, finita sotto processo e condannata in primo e secondo grado.

Calogero Antonio Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, “padrino dell’antimafia”, condannato a quattordici anni di reclusione perché colpevole di avere elaborato un sistema di dossieraggio per cercare informazioni e “spiare” cariche regionali e nazionali.

L’ex assistente parlamentare Antonello Nicosia, noto per le sue battaglie in favore dei diritti dei detenuti, che finiva per portare all’esterno i messaggi dei boss mafiosi che incontrava durante le sue visite in carcere, gestendo anche alcuni sporchi affari per conto loro. Ma la lista, purtroppo, è molto più lunga.

Il veleno che intossica la società

Che certezze ci restano? Sul fronte dell’antimafia militante, pochissime. Perché se tutti sappiamo che la mafia, come diceva Peppino Impastato, è una montagna di merda, come se si potesse persino riconoscere il fetido odore lontano chilometri, per l’antimafia è molto più complicato. Camaleontica, “di facciata”, perché non basta sfilare sulle passerelle durante le giornate di commemorazione. Troppo spesso nasconde un veleno potentissimo, potenzialmente letale per una società sempre più smarrita.