Forze dell’ordine: identificativi, pronta replica dei sindacati di Polizia

Polemica del segretario generale del sindacato di Polizia contro l’onorevole Palazzotto

Dopo più di un anno torna alla ribalta l’argomento dei codici identificativi per le forze dell’ordine in Italia. Si era già presa seriamente in considerazione la faccenda dopo gli scontri di Genova del 23 maggio 2019 tra le forze dell’ordine e un folto gruppo di manifestanti, che voleva impedire lo svolgimento di un comizio di Casapound. In quell’occasione era rimasto gravemente ferito il giornalista di “Repubblica” Stefano Origone.

EMANDAMENTO LEU: COSA PREVEDE

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere l’emendamento promosso dal partito politico Leu, e sottoscritto dai deputati Fratoianni, Orfini , Palazzotto, Raciti, Pini, Rizzo Nervo e Gribaudo dal titolo “disposizioni in materia di identificazione del personale delle Forze di polizia in servizio di ordine pubblico”. Il testo dell’emendamento prevede che “il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, impegnato in attività di servizio di ordine pubblico, deve avere sull’uniforme e sul casco di protezione, una sigla univoca che consenta l’identificazione dell’operatore che lo indossa”.

L’onorevole Palazzotto, in particolare, ha sostenuto che le misure previste nell’emendamento non andrebbero a danneggiare le forze di polizia, bensì sarebbero per loro una tutela in materia di sicurezza.

LA REAZIONE DEI SINDACATI DI POLIZIA NON SI FA ATTENDERE

La polizia di stato, a mezzo stampa, ha fatto sapere di non approvare le misure previste dall’emendamento. Valter Mazzetti, Segretario Generale Ugl-Fsp Polizia di Stato, commenta così: “Quello che il deputato fa finta di non capire è che la vera tutela per i membri delle forze dell’ordine passa per il riconoscimento, la condanna, la concretezza della pena per chi delinque aggredendole e il doveroso risarcimento del danno. La vera tutela per le forze dell’ordine sono telecamere sulle divise e norme molto più severe per chi aggredisce un operatore in divisa, lo offende, lo oltraggia. Aggressioni e veri atti di terrorismo di piazza – ha proseguito Mazzetti – non riguardano affatto la mancanza di numeretti da buoi che non abbiamo addosso e che incentiverebbero solo la calunnia organizzata e preordinata, ma piuttosto il fatto che ci vedono sempre soccombere come vittime“.

COME SI COMPORTANO LE ALTRE NAZIONI

Allo stato attuale, in Europa, 20 nazioni hanno aderito agli identificativi per le Forze di Polizia, con misure differenti e differente rigidità di applicazione. In Francia la norma è prevista sia per gli agenti in divisa che in borghese, ad eccezione degli agenti di sicurezza interna. Nel Regno Unito la norma varia da una regione all’altra, a seconda del grado di rischio territoriale. In Spagna esiste l’obbligo ma non sono previste conseguenze per chi non utilizza le targhette. In Germania la normativa è valida per 9 regioni su 16, e vale come obbligo tassativo solamente per alcuni corpi di polizia regionali. Ungheria e Svezia utilizzano spesso i codici identificativi pur non essendo previsto un obbligo.

Insieme all’Italia, solo in Austria, Cipro, Lussemburgo e Olanda non si utilizzano i codici identificativi per gli agenti.

A tal riguardo, questa la posizione di Mazzetti: “In altri paesi gli identificativi esistono perché le forze dell’ordine sono ampiamente tutelate e se si tocca un agente si finisce in galera senza se e senza ma, e nemmeno in maniera poi tanto garbata come avviene in Italia“.