Costringe la moglie a fare una doccia a settimana, la Cassazione: “È maltrattamento”

La donna era costretta anche a usare solo due strappi di carta igienica per pulirsi, e per il pasto una sola forchetta ed un solo piatto

folgorata

Il coniuge troppo tirchio incorre nel reato di maltrattamento. Lo ha deciso la Corte di Cassazione confermando la condanna nei confronti di un marito violento che vessava la moglie anche attraverso il «risparmio domestico».

L’uomo aveva instaurato un clima di sopraffazione che prescindeva dalle difficoltà economiche. Queste, nel caso in specie, non sussistevano considerato il fatto che entrambi i coniugi lavoravano. Ma il marito, nonostante ciò, imponeva alla moglie uno stile di vita fatto di sacrifici e limitazione. Lo ha stabilito la sentenza 6937/23 pubblicata il 17 febbraio 2023 dalla sesta Sezione penale. Questa non è la prima volta che la Cassazione conferma questo orientamento. Già nella sentenza n. 6785 del 7 giugno 2000 i giudici avevano seguito questo orientamento giurisprudenziale.

La Cassazione: «Modalità di controllo particolarmente afflittive»

Il caso esaminato dagli “ermellini” si riferisce a un marito che tendeva a controllare ogni esborso economico della famiglia. Era lui che decideva quando e dove la moglie poteva fare la spesa, e la obbligava a frequentare negozi a costo contenuto. La donna non poteva comprare prodotti di marca ma solo quelli in offerta. Sia per la casa che per l’abbigliamento. Ma le costrizioni imposte riguardavano anche le questioni più intime della vita domestica. La donna ha raccontato che era costretta a usare solo due strappi di carta igienica per pulirsi; a recuperare in una bacinella l’acqua utilizzata per lavarsi il viso; poteva fare la doccia solo una volta a settimana. Inoltre, per il pasto doveva usare una sola posata e un solo piatto. Nonostante ciò, il marito accusava spesso la moglie di essere «sprecona». Secondo i giudici si è trattato di «comportamenti accompagnati da modalità di controllo particolarmente afflittive». Tanto che la donna era «costretta a buttare via gli scontrini, a nascondere gli acquisti, a lasciare la spesa a casa dei genitori, a chiedere alle amiche di dire che le avevano regalato qualcosa che aveva acquistato».

L’avvocato: «Il maltrattamento psicologico è pari a quello fisico»

Come detto, già nella sentenza del 2000 la Cassazione aveva stigmatizzato «la sistematica condotta del ricorrente, tesa a rendere la vita insopportabile al coniuge con l’umiliante ed ingiustificata vessazione di esasperata avarizia». Che, come bene è sottolineato in sentenza, «non rappresenta altro che il callido “alibi”, dietro cui imporre il proprio autoritarismo gratuito, inconciliabile con il benché minimo rispetto dell’affectio maritalis». L’avvocato Marco Meliti, presidente dell’Associazione Italiana di Diritto e Psicologia della Famiglia, ha spiegato al Messaggero che la sentenza del 17 febbraio è la dimostrazione che il maltrattamento psicologico è pari a quello fisico. «Bisogna ricordare che la tirannia economica rappresenta una delle più subdole forme di controllo e di violenza. Che mortifica giorno per giorno chi la subisce. E diventa terreno fertile per altre forme di violenza»