Morì per una dose di chemio letale al Policlinico di Palermo, il medico non andrà in carcere

morta

Neanche un giorno di carcere per Sergio Palmeri, l’ex primario del reparto di Oncologia del Policlinico, accusato della morte di Valeria Lembo nel 2011.

Così ha stabilito la Cassazione che ha rigettato il ricorso del procuratore generale della Corte d’appello. L’ex primario sconterà la sua pena ai servizi sociali. 

L’assurda morte di Valeria Lembo

Era il 2011 quando a Valeria, mamma 34 enne di un bimbo di sette mesi, si sottopose a quella chemio fatale. Secondo le indagini, le fu somministrato un farmaco chemioterapico in dose eccessiva, 10 volte quanto previsto dai protocolli.

La vicenda giudiziaria

La Procura regionale della Corte dei conti di Palermo ha contestato, ai medici il danno erariale. L’ospedale Policlinico è stato condannato a risarcire i familiari con quasi due milioni di euro. Ora, la Suprema Corte ha scritto la parola fine tenendo conto di due principi: la “discrezionalità del giudice” del tribunale di Sorveglianza sull’idoneità della risocializzazione di un condannato e la “congruità delle motivazioni”.

 
 

La responsabilità dell’ex primario e i servizi sociali

La responsabilità dell’ex primario fu quella di aver redatto la cartella clinica e di non aver preso atto del sovradosaggio 10 volte superiore del farmaco anti-tumorale. Palmeri va ai servizi sociali perché, secondo la Cassazione, il tribunale non ha violato i principi legati alle autorizzazioni in materia di pena alternativa alla detenzione: “Ha reso una motivazione in tutta evidenza congrua”, si legge nelle motivazioni.

“Ha valorizzato, con argomentazioni logiche e fedeli alle risultanze procedimentali, la gravità del reato commesso, ma ha altresì ritenuto che il condannato avesse avviato un proficuo percorso di revisione critica, si fosse adoperato per porre sia pure parziale riparo al danno sociale inferto, e avesse quindi dimostrato quell’evoluzione favorevole di personalità tale da permettere l’accesso all’invocata misura alternativa”. Il tribunale ha, in definitiva, considerato sufficienti per la rieducazione del condannato le prescrizioni della misura alternativa.

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