La ragazza stuprata dal branco a Palermo e la pericolosa teoria del “consenso”

minorenne

“Ho urlato basta ma loro ridevano. Gridavano ‘tanto ti piace'”. Pesano come macigni le parole della 19enne di Palermo, vittima di una violenza sessuale di gruppo la sera del 7 luglio scorso.

La notizia dello stupro ha sconvolto l’intera città: dal centro alla periferia, dalle abitazioni private alle sedi istituzionali, ovunque è riecheggiato l’incubo vissuto dalla giovanissima.

“Eravamo come 100 cani su una gatta”

Così come le frasi a dir poco agghiaccianti, alcune irripetibili, degli aguzzini, giovanissimi anche loro come la vittima. Uno addirittura minorenne all’epoca dei fatti. Il branco, sette in tutto, si è accanito “Come 100 cani su una gatta”, questo emerge dal racconto fatto da uno degli indagati a un altro. Orrore che si aggiunge al dolore.

Il tema del consenso: l’ultima pericolosa sentenza

In simil casi si tratta il tema del consenso, soprattutto in queste ultime settimane. Da ultimo, una sentenza del Tribunale di Firenze che in un altro caso di violenza di gruppo ha assolto gli imputati perché hanno agito spinti da “un’errata percezione del consenso”. Detto in parole povere, il giudice ha stabilito che sì, hanno stuprato la vittima ma senza rendersene conto perché avevano frainteso la sua volontà. Una sentenza che, se finisse per costituire il cosiddetto ‘precedente’, potrebbe diventare pericolosa.

Come può il CONSENSO divenire da arma di difesa della vittima ad alibi per i suoi stupratori?

Cosa dobbiamo aspettarci dal caso di Palermo?

Tornando al caso di Palermo, ‘Gli orribili sette’ deridevano e insultavano la ragazza durante la violenza, lei che a parer loro godeva anziché star male. Lei che chiedeva aiuto e li pregava di fermarsi mentre loro si facevano sordi. E poi tanto è ubriaca, tanto ha fumato. Come se qualche shot o uno spinello legittimassero a divenire merce di scambio e violenze.

Gli indagati sono stati arrestati e adesso si è in attesa del processo, in cui anche la Regione Sicilia si costituirà parte civile, così come ha dichiarato il Presidente Schifani. Mi chiedo se anche qui saremo costretti ad assistere ad un’errata percezione del consenso. Eppure dovrebbe essere così semplice. Un ‘sì’ o un ‘no’ dato liberamente, senza che la risposta venga ottenuta con la forza, sotto pressione o quando la vittima non è completamente cosciente. In Italia, invece, diventa sempre tutto così difficile.

In attesa che venga fatta giustizia, possiamo non semplicemente star ad aspettare. Nessuno di noi può erigersi a giudice, ma siamo tutti – ahimè chi più, chi meno– dotati di una morale. Finché ci sarà anche una sola persona che verserà un vergognoso dubbio sulla condotta della vittima (“Chissà come stava messa”, “Magari li avrà provocati”), avremo perso tutti. Se qualcuno inizierà a parlare dei violentatori come “Bravi ragazzi” ma cresciuti senza valori, demoliremo il coraggio di chi ha avuto la forza di denunciare. Se anche la legge smetterà di tutelare chi per la sua intera vita sarà costretta a fare i conti con un episodio che l’ha squarciata per sempre, allora saremo ancora più soli.