Rubano l’auto della moglie del boss Micalizzi, lui li fa pestare a sangue

Dopo due ore il boss aveva già rintracciato i rapinatori e li aveva fatti pestare a sangue, costringendoli a riconsegnare la macchina

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L’operazione “Metus” dei carabinieri contro il mandamento mafioso di Tommaso Natale si è conclusa con undici arresti. Di questi, 8 in carcere e 3 agli arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico.

Nello specifico, in carcere sono finiti: Michele Micalizzi, 73 anni, Gianluca Spanu, 35 anni, Domenico Caviglia, 47 anni, Amedeo Romeo, 47 anni, Rosario Gennaro, 57 anni, Matteo Pandolfo, 47 anni, Giuseppe Micalizzi, 42 anni, Carmelo Cusimano, 48 anni. Invece, Giuseppe Giuda, 49 anni, Francesco Nappa, 37 anni e Vincenzo Garofalo, 37 anni, sono ai domiciliari.

Dall’inchiesta della Dda di Palermo è emersa la ricostruzione di un brutale pestaggio, avvenuto dopo che alla moglie del boss di Tommaso Natale era stata rubata l’auto. Per il gip Fabio Pilato, si è trattato di una dimostrazione plateale del “potere criminale” del mafioso, che aveva ordinato il pestaggio a sangue dei due rapinatori per “onorare il nome del clan”.

Gli autori del pestaggio voluto dal boss: “Tu mi devi dire grazie perché sei vivo”

L’8 settembre del 2021 alcuni banditi entrarono in azione allo Zen di Palermo e rapinarono una donna, sottraendole l’auto dopo averla intimorita. Evidentemente non sapevano che la vittima era la moglie del boss Michele Micalizzi. La donna riferì tutto al marito e il capomafia in due ore scoprì gli autori del colpo e li fece punire.

Stando a quanto reso noto, i rapinatori subirono un violento pestaggio a sangue dal clan e furono costretti a riconsegnare personalmente l’automobile rubata. Autori della punizione il figlio di Micalizzi, Giuseppe, insieme a un complice, che, dopo, avrebbero riferito al boss di aver dato una “bella lezione” ai due ladri. In un’intercettazione, che ora è nelle mani delle forze dell’ordine, hanno raccontato in particolare quanto fatto a uno dei banditi, spiegando di averlo “macinato” e “quasi ammazzato”. Alla fine gli avrebbero detto: “Tu mi devi dire grazie perché sei vivo”.

L’intercettazione ha anche permesso alle forze dell’ordine di ricostruire la rete di minacce e prevaricazioni del boss mafioso, che gli avrebbe permesso di rintracciare in due ore e “punire” i colpevoli della rapina alla moglie.

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