Per affrontare l’emergenza abitativa a Palermo serve un piano. A dirlo è l’ex consigliere comunale Elio Ferrara. “Raffrontare le produzioni cinematografiche odierne con quelle dei decenni trascorsi è un ottimo modo di comprendere i cambiamenti in atto nella nostra società. Prendiamo ad esempio un celebre film degli anni Settanta, “La classe operaia non va in paradiso” del pluripremiato regista Elio Petri. L’opera, che a suo tempo venne aspramente criticata degli intellettuali di sinistra, voleva essere uno spaccato di vita della classe operaia dell’epoca, in aperta polemica sia con i sindacati che con i padroni delle fabbriche. Il film racconta le vicissitudini di Ludovico Massa, instancabile stakanovista e tifoso del Milan, costretto a sopportare turni insostenibili e affetto da un progressivo decadimento psicofisico a causa delle precarie condizioni di lavoro. Ma, a guardar bene, Ludovico detto Lulù vantava un privilegio che oggi viene negato ad una quantità sempre maggiore di individui: una casa di proprietà. Per noi è inconcepibile che un operaio di 31 anni con due famiglie da mantenere (una composta dalla ex moglie e il loro figlio, l’altra dalla sua nuova compagna e il figlio di lei) possa permettersi, con un solo reddito, anche di possedere una casa. Ebbene, la nostra incredulità è il frutto tangibile della progressiva diminuzione del potere d’acquisto dei lavoratori italiani e, allo stesso tempo, del vertiginoso aumento del prezzo degli immobili”.
“Da Milano a Palermo – continua Ferrara -, questo insieme di cause ha dato avvio a un’emergenza abitativa senza precedenti nella storia repubblicana, che ormai interessa non solo le classi tradizionalmente emarginate, ma anche i cosiddetti working poors, ossia cloro che pur producendo reddito vivono al di sotto della soglia di povertà. La crescita incontrollata degli immobili destinati agli affitti turistici ha fatto poi il resto, rendendo l’accesso al mercato immobiliare un lusso per pochi.
“Un confronto tra le condizioni economiche dei baby boomers (ossia i nati tra il 1946 e il 1964) e dei millennials (1981-1996) mette in luce un allarmante divario tra la crescita dei prezzi delle case e quella degli stipendi. Quarant’anni fa gli stipendi medi si attestavano intorno ai 13.200 euro, mentre il costo medio di una casa di 100 metri quadri era di 85 mila euro, circa 850€ al metro quadro. Questi numeri ci fanno riflettere sul notevole potere d’acquisto che gli individui potevano avere rispetto ai prezzi immobiliari dell’epoca. Oggi la situazione è drasticamente cambiata. I millennial, che in questo momento dovrebbero essere i principali acquirenti di immobili, si trovano ad affrontare un mercato con molte barriere all’ingresso. A fronte di uno stipendio medio di circa 19 mila euro, il costo medio di una casa di 100 metri quadri in Italia ha superato i 180 mila euro, circa 1.850 euro al metro quadro. Questo divario economico sta creando una generazione che – per la prima volta – potrebbe essere meno ricca della precedente. I millennial si trovano ad affrontare sfide economiche che i loro genitori non hanno mai sperimentato. L’accesso alla proprietà diventa sempre più un miraggio per molti giovani, che si trovano costretti a rinviare o addirittura abbandonare i propri sogni di possedere una casa. Questo fenomeno ha conseguenze che vanno ben oltre il settore immobiliare. L’instabilità abitativa può influenzare negativamente la crescita economica, la mobilità sociale e persino la salute mentale di intere generazioni.
“In Sicilia, riguardo alle famiglie meno abbienti (con redditi inferiori ai 10.500 euro annui), l’acquisto della casa in quasi tutti i capoluoghi di provincia è economicamente insostenibile. In particolare, a Palermo queste famiglie devono destinare circa il 45% del proprio reddito al pagamento della rata del mutuo.
Ho sempre detestato quella concezione secondo cui l’economia sia una forza impersonale come il tempo, che le crisi abbiano la stessa imprevedibilità dei temporali. La verità è che gli uomini e le donne di governo hanno il dovere di plasmare le politiche economiche sulla base delle esigenze dei cittadini che lavorano. Su questo dovrebbe esserci un accordo trasversale, a prescindere dalla discendenza politica dei singoli”.
Il primo passo dovrebbe essere l’ampliamento della disponibilità di edifici popolari attraverso partnership pubblico-private e la captazione di fondi nazionali ed europei. Il piano dovrebbe prevedere un’accelerazione delle procedure per la rifunzionalizzazione degli immobili sfitti del comune, oltre che garantire la fruizione dei servizi di social housing anche ai giovani e ai working poors. In secondo luogo, si dovrebbe operare dal punto di vista legislativo limitando le licenze per la creazione di nuovi appartamenti ad uso turistico, congelando il costo degli affitti e offrendo dei contributi per calmierare i prezzi. Molte città europee puntano su programmi di social housing gestiti direttamente dagli enti locali. Vienna, ad esempio, ha una lunga tradizione di alloggi comunali a basso costo, accessibili anche alla classe media, e continua a rinnovare il patrimonio esistente. Berlino rafforza la protezione degli affittuari fissando limiti di prezzo massimi e acquistando immobili privati per destinarli all’edilizia sociale. I governi delle principali città europee si sono mossi anche per quanto concerne la limitazione degli affitti turistici, che contribuiscono in maniera significativa all’aumento sia dei canoni d’affitto che dei prezzi degli immobili. Madrid vieta già nuove licenze nel centro storico, mentre Barcellona prevede addirittura la totale revoca delle autorizzazioni per affitti brevi entro il 2028.
Se è vero cha la situazione si presenta come complessa, è altrettanto vero che non ci sono scuse per non avere un piano. Un programma di interventi che possa garantire ai lavoratori palermitani, se non un posto in paradiso, quantomeno una casa in cui abitare.