Detenuto morto in carcere, un testimone: “Non è suicidio, ha visto due operatori fare se**o”

Caso archiviato come suicidio per impiccagione ma senza la conferma di una autopsia, negata per sette volte. Ora c’è un testimone

Questa di Stefano Dal Corso è una storia che ricorda il caso di Stefano Cucchi per i molti punti oscuri che si sono  accumulati dopo la sua morte in carcere. Anche in questo caso c’è una sorella che non si arrende e lotta per la verità.

I fatti

Circa un anno fa, il 12 ottobre 2022, Dal Corso è stato trovato senza vita nel carcere di Oristano. La procura ha deciso che si trattava di suicidio e  il 3 luglio 2023 ha archiviato  il caso. Molti indizi e testimonianze pare dicano altro, e la sorella del giovane, Marisa Dal Corso, si è opposta. Il 4 ottobre di quest’anno le indagini vengono riaperte. Quello di Stefano Dal Corso è un caso travagliato su cui, come racconta oggi Repubblica, è stata negata per sette volte l’autopsia.

Supertestimone

Ma il 17 settembre è arrivato un punto di svolta: un supertestimone ha affermato che il 42enne sarebbe stato ucciso dopo aver assistito a un rapporto sessuale tra due operatori. La procura di Oristano il prossimo 4 gennaio affiderà un «incarico di consulenza tecnica al professor Roberto Demontis». E, finalmente, ci sarà l’autopsia, l’unico esame che riuscirà a dipanare tutti i dubbi sulla vicenda. Proprio come ha richiesto da mesi l’avvocato Armida Decina, che segue la famiglia del 42enne.

Trasferito in Sardegna per un processo, non torna più

La vicenda di Stefano Dal Corso parte da Roma. Viveva al Tufello ed era agli arresti domiciliari. Per portare a spasso i cani della sorella Marisa ha violato il dispositivo, e nell’ottobre del 2022 è finito in carcere, a Rebibbia. Per assistere ad un processo che lo riguardava viene accompagnato in Sardegna, da dove non tornerà più. Perché lo hanno trovato impiccato nella sua cella momentanea, la numero 8, nel carcere di Massama, a Oristano. La sorella  però non crede al suicidio del fratello. Per molti motivi. Le scarpe indossate da Stefano non erano le sue. Inoltre nella documentazione del caso, bollato subito come suicidio, le foto effettuate sul corpo dell’uomo sono in bianco e nero, fotocopiate. Nel fascicolo non ci sono gli  originali.

Contestata la morte per impiccagione

È stato dichiarato che è morto per impiccagione, ma senza la conferma di un autopsia, che è stata negata ben sette volte. Ma in quel quel carcere ci sono persone che hanno iniziato a parlare. L’ultimo testimone, come riporta Repubblica, ha  raccontato che Stefano ha fatto un errore. “Ha aperto la porta dell’infermeria e sul lettino c’era un rapporto orale tra due operatori del carcere”. Dopo di che altri agenti lo avrebbero massacrato per quello che aveva visto. E alla fine sarebbe stato inscenato un suicidio. Il testimone parla di relazioni modificate, così come il medico legale. Inoltre il detenuto era vestito con “indumenti messi a disposizione della Caritas, e, a quanto pare, erano spariti quelli sporchi di sangue, con le prove e le impronte”. Parole pesanti,  che possono essere confermate solamente dall’autopsia.