Parental control? Provate a parlarne con la generazione «Uomo Tigre»

Si fa tanto parlare della legittima necessità di monitorare i bambini di oggi, spesso lasciati soli davanti a smartphone e tablet. Eppure, in diversi cartoni anni 70’/80′ e 90′ non mancavano tematiche impegnative, violente e a volte persino scabrose.

C’è un sogno che accomuna indistintamente tutti gli esseri umani, da sempre vogliosi di visitare diverse epoche temporali, sia passate che future: possedere una macchina del tempo. Un sogno a quanto pare destinato a restare tale, ma che grazie all’industria cinematografica (chi non ha amato Ritorno al futuro, l’Uomo che visse nel futuro del 1960 o il più recente The Time Machine del 2002), agli scrittori (fu H.G Wells, nel lontano 1985 ad inaugurare un intero filone narrativo che ha avuto particolare fortuna nel XX secolo), a programmi televisivi come techetechetè e da qualche decennio ai creatori di videogiochi (Cronotron di Joe Rheaume, uscito nel 2008 su tutti) si ha l’illusione di potere realizzare. 

UNA MACCHINA DEL TEMPO CHIAMATA YOUTUBE

Da 15 anni poi, ovvero dal 2005, quando grazie all’intuizione di tre giovani informatici imprenditori nacque youtube (secondo sito web più visitato al mondo, alle spalle solamente di Google, azienda statunitense dalla quale nel 2006 è stato acquistato), ecco che navigare nel tempo è divenuto accessibile davvero a tutti. E se farsi un giretto nel futuro, attraverso i video pubblicati nella più grande piattaforma di video sharing è un qualcosa che rimane legata all’immaginazione, tuffarsi nel passato assume significati completamente diversi. In questo caso infatti, basta una semplice sigla di un vecchio cartone fine anni ’70 inizio ’80, per catapultare, letteralmente, 50enni e 40enni di oggi in una dimensione evocativa in cui a comandare sono le emozioni e i sentimenti. Una vera pacchia, per gli inguaribili nostalgici quelle liste interminabili di vecchi disegni animati, quasi tutti rigorosamente made in Japan. Ti metti comodo, clicchi play e il viaggio può iniziare, ancor meglio se, sacrificando per un attimo le immagini si prova a chiudere gli occhi.

DA TIGER MAN A PEPPA PIG

Ancora privi di telecomando, che fosse il soggiorno di casa propria o quello dei nonni,  lo zapping alla ricerca del cartone preferito, tra un pane e nutella e un succo di frutta, iniziava il sabato e la domenica mattina, o di settimana prima di fare i compiti. Bim Bum Bam la faceva da padrone, seguito da Ciao Ciao e da diverse emittenti locali.  Un campionario assortito, dalle tematiche più svariate alcune delle quali persino piccanti si svelava agli occhi dei bambini di allora, roba che al confronto, i programmi dedicati  all’infanzia di oggi permettono ai genitori di dormire tra due guanciali dorati. Altro che parental control. Perché essere lasciati soli per ore, davanti a Bing, Peppa Pig o gli stessi Gormiti, nulla è in confronto ai crani sfondati a colpi di sedia e di gong nel ring dall’Uomo Tigre, al “sembra talco ma non è” della candida e svampita Pollon, o all’ambigua figura di Lady Oscar. Roba forte insomma, da rinfacciare ai nonni 2.0, quelli che “se permetti a tuo figlio di trascorrere troppo tempo solo davanti il tablet poco ma sicuro ti cresce rincitrullito o, peggio, violento”. Da che pulpito.

IL MONDO DEGLI ORFANI

E a chi, non conoscendo a fondo quel mondo, obietta che i tre succitati cartoni potrebbero rappresentare delle eccezioni, basti menzionare il resto della produzione nipponica. Cartoni, si badi, sempre con una morale finale, ma raggiungibile attraverso un percorso puntualmente tormentato dal punto di vista psicologico. Neanche all’apina Magà, la “cugina” sfigata della più divertente ape Maja, è stata ad esempio risparmiata la faticosa ricerca della mamma, per un tema, quello dell’essere orfani, particolarmente in voga a quei tempi. Ci passò Candy Candy, ospite, assieme a tanti altri bimbi di casa Pony; Remì, in perenne viaggio sotto l’ala protettiva del vecchio, burbero gitano Vitali dopo essere stato rapito, ancora in fasce e per ordine dello zio,  dalla sua nobile famiglia d’origine;  Aika in Hallo Spank, che perse il padre vittima di una bufera in mare, mentre, alla bella Georgie, la cui madre in fuga da una colonia britannica, tanto per cambiare, muore bruscamente, tocca addirittura affrontare una vincenda erotica. Adotatta dai Buttman, i fratellastri Abel e Arthur crescendo finiranno per innamorarsene.

GOLDRAKE? PUFFETTA WIN

Alla fine della fiera, persino il filone tanto amato dai disegnatori giapponesi, ovvero quello dei robot (Goldrake l’antesignano, Mazinga subito dopo e poi a seguire gli intramontabili Jeeg Robot d’acciaio, Daitarn, Daltanious, Trider g7, Voltron e altri ancora, hanno davvero segnato la nostra infanzia) in continua lotta contro il male, che a rigor di logica poteva rappresentare la pura violenza, dal punto di vista dei messaggi subliminali impallidisce al cospetto di Lady Oscar o, addirittura degli stessi puffi. Nella storia di Marie-Jeanne Schellik, la donna vissuta ai tempi dell’ancien regime, che a cavallo tra Settecento e Ottocento scalò le gerarchie militari francesi, in molti scorsero la prima figura transessuale della storia dei cartoon. Mentre, riguardo i buffi esserini blu, chi maliziosamente, dopo qualche anno di abbuffate del simpatico cartone, non avrà condiviso con amici e compagni il divertente pensiero di cosa ci facesse tutta sola una puffetta bionda in un paese di puffi? 

UNA VITA INTERA TRA UN TIRO E UNA SCHIACCIATA

Assortimento, dicevamo, e per spiegarlo meglio non possiamo non citare i cartoni dedicati ai mestieri e agli sport. Se i bambini del secondo millennio hanno a disposizione la Dottoressa Peluche, Sam il Pompiere e Manny Tuttofare, i loro padri avevano invece il pescatore Sampei, i calciatori Holly&Benji, il golfista Lotty e le “cugine” pallavoliste Mimì Ayuara e Mila, impossibile da separare da Shiro solo solo per questioni di sigla. Anche in questo caso, tra un tiro in porta, una schiacciata fulminante e un salmone da tirare a riva, a quei tempi immancabile era inserire il vissuto dei nostri eroi, quasi sempre irto di difficoltà. Un must per i registi, anche a costo di impiegare due tre puntate prima di svelare se la conclusione del capitano della Newteam (oggi riproposto con il nome originale della serie capitan Tsubasa), al culmine di un galoppata chilometrica, avesse o meno trafitto il portiere avversario. 

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