In attesa del vertice di maggioranza Orlando mette in mora gli alleati

Sabato prossimo, il vertice che dovrà fare chiarezza sui rapporti tra Orlando e le forze di maggioranza. Il dibattito sulla fiducia ha evidenziato crepe nel rapporto tra soggetti che viaggiano a due velocità, mentre la città aspetta soluzioni ai problemi

Leoluca Orlando e la maggioranza che lo sostiene in consiglio comunale hanno superato l’esame della mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Ma che succederà, adesso? Probabilmente nulla, ma i nodi da sciogliere nei rapporti tra il sindaco e le forze politiche che lo sostengono sono tanti e si riflettono, necessariamente sulla capacità di dare una soluzione ai tanti problemi della città, talmente incancreniti che definirli “emergenze” è improprio se non ipocrita.

Se l’eterogeneo fronte tra opposizioni incompatibili tra loro si è platealmente spaccato durante la discussione in aula, peraltro senza sollecitazioni esterne, nemmeno la maggioranza ha dato una bella immagine, nè garanzie di compattezza, ritrovandosi soltanto nella necessità di non “consegnare la città alle destre”. Ed è emersa pure, in un gioco che ha ricordato lo scaricabarile sulle responsabilità per le condizioni in cui versa Palermo, la tensione tra sindaco e qualche alleato. Una maggioranza tutt’altro che “inossidabile”, come l’ha definita lo stesso Orlando, dopo il voto della mozione di sfiducia. Lui stesso, poi ha ammesso di essere il “garante” di una visione condivisa che unisce quella “unione di minoranze” che è la maggioranza.

Persino in aula, infatti, qualche forza politica “importante”, politicamente se non nei numeri in consiglio, come il Pd, si è espresso con concetti e termini quasi da “opposizione”, ammettendo che “i problemi della città, in questi anni non si sono risolti, ma aggravati” chiedendo al sindaco “un segnale chiaro di svolta” e “un segnale inequivocabile sulla sua volontà di fare luce sui nodi strutturali di questa amministrazione”, “senza atti di supponenza e presunzione”. La frase “Spieghi il sindaco se i due anni che mancano al voto debbano essere un tempo di attesa o un tempo utile per risolvere le emergenze” dà la misura di una sensazione di stanchezza, di esaurimento di una forza propulsiva che il Pd sembra addebitare al primo cittadino e alla sua giunta. A ciò si aggiunga il silenzio dei partiti e di tanti consiglieri di maggioranza nel periodo che ha preceduto la discussione della mozione di sfiducia che, di fronte agli attacchi delle opposizioni, hanno dato l’impressione di un Orlando “solo nella tempesta”. Quasi un distanziarsi dal giudizio che, dalla percezione comune, la città stava dando del sindaco e della sua azione di governo. 

Ma Orlando tutto è sembrato, tranne che stanco, e già in aula ha voluto chiarire alla sua maggioranza: se non c’è condivisione della “visione” che anima questa esperienza di governo, si va a casa. E la visione non può essere lo stesso sindaco. Insomma, Orlando non vuol fare da parafulmine, non vuol apparire, davanti alla città, unico responsabile di una situazione difficile, col pretesto della mancanza di dialogo tra giunta e consiglio comunale. “Non abbiamo più alibi. Se le cose non vanno come dico io, se non si rispetta la visione condivisa, io stacco la spina. Non voglio tirare a campare”, ha detto ieri, ribadendo quanto già affermato nella seduta del consiglio.
Quale sia la visione, quali ne siano i risultati, è sotto gli occhi di tutti, ma dipende dalla prospettiva dello sguardo: da un lato c’è la città dell’accoglienza, dei diritti umani e della solidarietà, proiettata verso una prospettiva “internazionale” per la promozione di un’immagine capace di attirare turisti, di fare cultura; dall’altro i cumuli di spazzatura, le bare senza sepolture, il traffico impossibile per i trasporti che non funzionano, piste ciclabili improbabili e ztl a profusione, periferie abbandonate, cantieri senza fine.

Tanti nodi da sciogliere, insomma, nell’incontro annunciato per sabato tra Orlando e la sua maggioranza. Il sindaco e i partiti che lo sostengono non possono far finta che il peggio sia passato, nei rapporti politici. Occorre una presa di coscienza sui problemi della città, che avanti così non si può andare, che Orlando non può essere il velo sotto cui nascondere i limiti di un centrosinistra che deve decidere cosa fare da grande. “Non tiro i remi in barca”, ha detto Orlando in aula, ma a remare non vuol più essere soltanto lui, che, pure, per sua natura ama fare il nocchiero.

Il sindaco sembra aver capito che, ancora una volta, deve essere lui a “metterci la faccia”, per affrontare problemi come l’emergenza rifiuti e l’altra vergognosa questione, quella delle bare in attesa di sepoltura, nel cimitero dei Rotoli; il basso profilo tenuto da Orlando, quello che molti hanno scambiato per “stanchezza” o distrazione dai problemi della città, poteva essere una occasione per lavorare sulla costruzione di un progetto e di una “successione”, perché la sua esperienza di governo si avvia alla conclusione, visto che non potrà ricandidarsi. Ma la prova è stata fallita clamorosamente: il sindaco ha dovuto prendere in mano personalmente la situazione e un “successore”, in grado di portare avanti la realizzazione di quella visione e di battere le destre, non si vede all’orizzonte. Nè un progetto politico per Palermo o un collante che non può essere il “non consegnare la città alle destre” le quali, pur coi loro limiti, non sono il demonio, ma forze con un consenso democratico legittimo.
Cosa verrà fuori dal vertice di maggioranza di sabato? Al di là delle parole, ci auguriamo che non finisca a tarallucci e vino, contando sullo scampato pericolo e sui 18 mesi che mancano al ritorno alle urne.

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