Aumenti in busta paga, 160€ approvati per decreto legge: chi lavora più di 6 ore al giorno li avrà subito | È UFFICIALE

Aumento in busta paga - fonte pexels - palermolive.it

Per questa categoria arriverà una cifra aggiuntiva direttamente in busta paga: la Cassazione rivoluziona le regole nel settore sanitario

Una sentenza della Suprema Corte ha sancito un principio destinato a trasformare profondamente le condizioni di lavoro nel sistema sanitario. Con l’ordinanza n. 25525/2025, pubblicata il 17 settembre, la Sezione Lavoro della Cassazione ha riconosciuto il diritto al pasto anche durante i turni continuativi, stabilendo che chiunque lavori per più di sei ore consecutive ha diritto a consumare un pasto, indipendentemente dal tipo di orario svolto. È una svolta storica, che riconosce un principio di equità a lungo ignorato in molte strutture pubbliche e private.

La pronuncia nasce da una causa intentata da 14 infermieri dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, che chiedevano il riconoscimento del servizio mensa o, in alternativa, del buono pasto sostitutivo. Il regolamento interno della loro azienda prevedeva l’accesso al pasto solo per il personale non turnista con rientro pomeridiano, escludendo così chi lavorava in turni continuativi. Dopo un lungo iter giudiziario, culminato con il ricorso in Cassazione, i lavoratori hanno finalmente ottenuto giustizia.

La Suprema Corte ha ribadito che la continuità assistenziale, pur essendo essenziale per garantire i servizi sanitari, non può essere utilizzata come motivo per negare un diritto primario come quello al pasto. La Corte ha ricordato che il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto sanità e l’articolo 8 del Decreto Legislativo 66/2003 prevedono espressamente un intervallo per la consumazione del pasto quando il turno supera le sei ore consecutive.

Un punto centrale della decisione riguarda la possibilità di riconoscere ai lavoratori un buono pasto sostitutivo quando non è possibile usufruire della mensa aziendale. La Cassazione ha sottolineato che l’impossibilità di lasciare il posto di lavoro non annulla il diritto al pasto, ma ne modifica solo la modalità di fruizione. In pratica, se il personale sanitario non può allontanarsi per motivi di servizio, ha comunque diritto a ricevere un buono pasto di pari valore economico.

Una sentenza che elimina le discriminazioni

Con questa pronuncia, la Cassazione ha di fatto eliminato una disparità di trattamento che per anni ha penalizzato il personale turnista. La distinzione tra chi svolge turni continuativi e chi lavora con orari fissi non può più giustificare differenze nei diritti legati alla pausa pranzo. I giudici hanno chiarito che ogni lavoratore, indipendentemente dalla modalità del turno, deve poter godere di condizioni di lavoro dignitose e rispettose della salute.

La Corte ha sviluppato un ragionamento chiaro e coerente: se la legge prevede un intervallo obbligatorio dopo sei ore di lavoro, il diritto alla pausa implica automaticamente anche quello alla consumazione del pasto. Di conseguenza, negare il buono pasto o l’accesso alla mensa significherebbe violare un principio stabilito sia dalla normativa nazionale sia dai contratti collettivi. Ai turnisti verranno erogate 160 euro in più al mese equivalenti a 1 ticket da 8€ per 20 giorni lavorativi. 

Buoni pasto – fonte pexels – palermolive.it

Conseguenze per le aziende sanitarie

La sentenza avrà effetti concreti su tutto il sistema sanitario nazionale. Le aziende dovranno adeguare i propri regolamenti interni per conformarsi alla nuova interpretazione giurisprudenziale. Sarà necessario prevedere risorse economiche aggiuntive per garantire il diritto al pasto a tutto il personale che lavora oltre le sei ore consecutive, inclusi infermieri, operatori socio-sanitari, tecnici e medici turnisti.

Questa decisione rappresenta una vittoria non solo legale, ma anche morale per migliaia di lavoratori del settore sanitario. Riconoscere il diritto al pasto significa riconoscere la dignità e il valore umano di chi svolge un servizio essenziale per la collettività. Dopo anni di battaglie, la giustizia ha ribadito che la tutela della salute passa anche dal rispetto dei diritti fondamentali di chi, ogni giorno, lavora per garantire quella degli altri.