Muore per emorragia cerebrale dopo caduta a Villa Sofia, ritardi nella visita neurochirurgica: aperta inchiesta a Palermo
Aveva accompagnato la moglie a fare una visita diabetologica all’ospedale Villa Sofia di Palermo, ma nel modo di scendere la rampa esterna del Padiglione B è caduto rovinosamente a terra riportando un grave trauma facciale: così è morto Giovanni Antonino Guddo, muratore di 64 anni, lo scorso 13 novembre. La famiglia ha esposto denuncia e la Procura di Palermo ha aperto un’inchiesta per un presunto nuovo caso di malasanità che tocca un ospedale palermitano. Nei giorni scorsi è stata eseguita l’autopsia sul corpo dell’uomo per stabilire le cause precise del decesso.
Era la mattina del 7 novembre quando il signor Guddo si era recato a Villa Sofia dove la moglie Cristina Gnoffo 61enne doveva sottoporsi a una visita. In attesa che la coniuge si sottoponeva al controllo medico specialistico, l’uomo aveva deciso di andare a fare colazione: nel percorrere la rampa esterna del Padiglione B, però, il sessantaquattrenne è caduto rovinosamente a terra procurandosi un grave trauma facciale con sospetta frattura delle ossa nasali, ecchimosi diffuse e lacerazioni, come emerge dal verbale del pronto soccorso del nosocomio palermitano.
Pavimento bagnato e con avvallamenti
La caduta di Guddo, secondo quanto denunciato dai familiari, sarebbe avvenuta in un punto dove la pavimentazione “era completamente bagnata e priva di materiale antisdrucciolo, le mattonelle lisce e scivolose con acqua stagnante, sconnessioni, mattonelle rialzate, crepe, avvallamenti e parti mancanti e palesi riparazioni di fortuna con nastro adesivo nero”. Inoltre, non era presente segnaletica di pericolo.
Alle ore 10.11 avveniva l’accesso dell’uomo in pronto soccorso con codice “arancione” per “incidente in strada”. Solo cinque ore dopo la moglie, che si trovava insieme alle nipoti, veniva informata che il marito era stato sottoposto a una Tac senza ricevere però comunicazione sul risultato dell’esame.
L’emorragia cerebrale sottovalutata
Solo nel tardo pomeriggio alla famiglia veniva comunicato che il parente aveva in atto un’emorragia cerebrale che necessitava urgentemente di una valutazione neurochirurgica per decidere se procedere con un intervento chirurgico, ipotesi che poco prima una dottoressa del pronto soccorso aveva escluso. Il neurochirurgo sarebbe stato sollecitato tre volte, senza ottenere risposta: solo dopo nove ore e trenta dall’accesso in pronto soccorso, Guddo veniva finalmente sottoposto a visita dal medico specializzato.
Al termine del controllo il neurochirurgo, il medico di turno e l’anestesista comunicavano ai familiari che l’emorragia era progredita sino al tronco encefalico rendendo impossibile qualsiasi tipo di intervento. Trasferito in terapia intensiva, Guddo non si è più ripreso e il 13 novembre i medici ne hanno dichiarato la morte cerebrale.
La famiglia dell’uomo: “Vogliamo giustizia, i colpevoli devono pagare. C’è malasanità!”
“Mio marito stava bene. Ha fatto una scivolata da niente: è entrato vivo ed è uscito morto – racconta in lacrime la moglie, Cristina -. Voglio giustizia, i colpevoli devono pagare. C’è malasanità. Mio marito non è stato aiutato, lo hanno ucciso loro!”
“Noi vogliamo giustizia per quello che è accaduto. Se c’è un responsabile di tutto questo deve pagare – dice una delle figlie dell’uomo, Viviana Guddo -, per aver tolto un padre, un marito e un nonno”. “Ho il cuore spezzato per quello che è successo a papà – afferma l’altra figlia dell’uomo, Marzia -. Lui è scivolato in uno scivolo dell’ospedale che non aveva maniglioni dove sorreggersi, né c’erano cartelli di pericolo. Papà ha lottato per cinque giorni, ma purtroppo non ce l’ha fatta. Chiedo giustizia e sicurezza, cose del genere non devono più accadere”.
La famiglia di Giovanni Antonino Guddo è difesa dagli avvocati Domenico Cancemi, Rosanna Siino e Annalisa Indorato: “Cercheremo di far chiarezza sulla vicenda supportando le indagini in corso – sottolineano i legali – e cercando anche di comprendere se sussistono o meno eventuali profili di responsabilità nei confronti dei sanitari o della stessa struttura”.
