3,13 secondi: solo lo 0,1% di voi risolve l’enigma di Rubik in questo tempo record | Chi ci riesce ha un QI altissimo

Cubo di Rubik - fonte pexels - palermolive.it

I 50 anni del Cubo di Rubik che continua a incantare il mondo, tutti primo o poi si sono cimentati a risolverlo

Cinquant’anni fa, seduto nell’appartamento della madre a Budapest, in Ungheria, il giovane professore Ernő Rubik completava il prototipo di quello che allora chiamava “Magic Cube”. Insegnante presso il Dipartimento di Design d’Interni, Rubik era affascinato dalla geometria e cercava da tempo di costruire una struttura tridimensionale solida, con strati mobili e intercambiabili. Dopo mesi di tentativi e frustrazione, riuscì finalmente a dar vita a un oggetto unico. “L’ho fatto solo per curiosità personale”, ha raccontato. “È come essere un artista: se sei felice della tua creazione, vuoi mostrarla agli altri”.

All’inizio, il cubo non era pensato per il mercato. Rubik lo usava come strumento didattico per insegnare concetti di geometria ai suoi studenti. Ma nel 1975 ottenne il brevetto per il suo “giocattolo logico tridimensionale” e una fabbrica locale produsse i primi 5.000 esemplari. Nel giro di due anni, solo in Ungheria, ne furono venduti 300.000. Nel 1980 l’azienda americana Ideal Toy acquistò i diritti, lo ribattezzò “Rubik’s Cube” e lo presentò alla Fiera del Giocattolo di New York, catapultandolo in un successo internazionale senza precedenti.

Per Rubik, che aveva immaginato un futuro accademico, la fama fu un effetto collaterale inatteso. La sua prima visita a New York, nel 1980, fu anche il primo viaggio oltre la Cortina di Ferro. L’impatto con l’Occidente fu travolgente: “I suoni, gli odori, tutto era diverso da ciò che avevo conosciuto. Ma insieme al successo arrivò la celebrità, e quella non l’ho mai amata. Il Cubo vuole attenzione, io no”, ha confessato.

Negli anni, il Cubo è diventato un fenomeno culturale onnipresente. È comparso in oltre 1.500 copertine di riviste, in film e serie come The Simpsons e WALL-E, ed è stato risolto in diretta da celebrità come Justin Bieber. Si stima che mezzo miliardo di esemplari originali siano stati venduti, senza contare le imitazioni. Oggi, una persona su sette nel mondo ha tentato almeno una volta di risolverlo.

La sfida della velocità

Con l’inizio del nuovo millennio il Cubo ha trovato nuova linfa grazie agli appassionati di “speedcubing”, che si allenano per risolverlo nel minor tempo possibile. La World Cube Association organizza competizioni in tutto il mondo: il record attuale appartiene all’americano Max Park, che nel 2021 lo ha completato in soli 3,13 secondi.

Rubik, che lo risolve in due o tre minuti, vede in questi progressi un’evoluzione inevitabile, simile all’atletica: “Ogni volta pensiamo che non si possa andare più veloce, e invece si supera sempre il limite”. Secondo il suo inventore, il Cubo meriterebbe persino un posto alle Olimpiadi. “Non è solo un’attività intellettuale: serve anche una grande abilità fisica, dita velocissime e coordinazione. Per questo i giovani sono così bravi”, sostiene.

Cubo di Rubik – fonte pexels – palermolive.it

Arte, scienza e mistero

Rubik considera la sua creazione come un figlio: il rapporto cambia con il tempo, ma rimane vivo e mutevole. Non parla mai di guadagni o affari: per lui il Cubo resta prima di tutto un’opera di arte e scienza, un ponte tra pensiero logico ed espressione culturale. “Ogni settimana scopro qualcosa di nuovo in esso. È affascinante e, allo stesso tempo, difficile da comprendere del tutto”.

A cinquant’anni dalla sua nascita, il Cubo resta un oggetto simbolico, capace di unire generazioni e culture. In un’epoca dominata dagli schermi digitali, offre ancora quella che Rubik definisce “un’armonia tra mente, cuore e mani”. Per lui è questa la chiave del suo successo intramontabile: la capacità di trasformare un semplice rompicapo in un’esperienza universale, in cui la sfida diventa metafora della vita.