ULTIM’ORA LAVORO – Obbligatori gli aperitivi con i colleghi: se fai lo snob il tuo capo ti licenzia | La Cassazione ha deciso

lavoro (pexels) - palermolive

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Il comportamento “asociale” può costare il posto. Ma non è solo una questione di simpatia.

Negli ambienti di lavoro si parla spesso di produttività, scadenze, obiettivi e performance. Ma negli ultimi anni è emerso un altro fattore determinante per il successo professionale: la capacità di integrarsi. Non basta più essere bravi. Bisogna anche andare d’accordo con gli altri. O quantomeno… non creare problemi.

La questione sembrerebbe banale, magari anche caricaturale: un dipendente che evita cene aziendali, rifiuta inviti a pranzi tra colleghi e mantiene le distanze persino alla macchinetta del caffè. Ma dietro questi comportamenti possono celarsi attriti profondi, difficili da risolvere, che finiscono per logorare il clima aziendale e compromettere l’efficienza del lavoro.

I datori di lavoro, sempre più attenti al “benessere organizzativo”, iniziano a prendere provvedimenti. In alcuni casi, si cerca il dialogo. In altri, si prova a cambiare mansione o team. Ma cosa succede quando il problema persiste e la situazione degenera in un muro contro muro?

Molti si chiedono se sia davvero possibile licenziare qualcuno per una questione relazionale, e non per mancanze disciplinari o cali di rendimento. La risposta arriva da una recente sentenza che ha fatto molto discutere.

Il tribunale ha parlato: l’armonia è produttività

L’11 gennaio 2024 il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 10291, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per incompatibilità ambientale oggettiva. In pratica, non servono litigi plateali o episodi di insubordinazione: è sufficiente dimostrare che un clima di tensione costante tra un dipendente e colleghi/superiori renda impossibile proseguire il lavoro in modo sereno ed efficace.

Attenzione, però: non si tratta di punire un “caratteraccio”. Perché il licenziamento sia ritenuto valido, il datore deve provare due cose fondamentali:

  1. Che il conflitto sia grave, persistente e abbia ricadute reali sull’organizzazione aziendale;
  2. Che siano stati fatti tentativi concreti per risolvere la situazione, anche offrendo al lavoratore una mansione diversa, magari inferiore, pur di evitare il licenziamento (principio del repêchage).
spiaggia (pexels) - palermolive-2
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Il caso che cambia le regole del gioco

In sostanza, l’incompatibilità ambientale è diventata un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ai sensi dell’articolo 3 della Legge 604/1966. E questo cambia radicalmente il modo in cui viene tutelato – o meno – il rapporto tra lavoratore e contesto.

Il datore non è più obbligato a seguire la procedura tipica del licenziamento disciplinare (contestazione e 5 giorni per le difese). Si agisce in base a criteri tecnici e organizzativi: l’ambiente “malato” deve essere sanato, anche a costo di sacrificare un dipendente.