Dal resto della Sicilia

Sicilia, dopo un mese di roghi e nove arresti, solo due restano in cella

Questa estate in Sicilia sono stati bruciati circa 50 mila ettari di boschi e terreni. Un territorio pari al due per cento della superficie dell’Isola, poco meno della superficie dei comuni di Milano, Torino, Palermo e Catania messi assieme. Le forze dell’ordine, i carabinieri forestali e le guardie forestali, seppure con le difficoltà connesse alla natura dei reati, dopo complesse indagini sono riusciti ad arrestare in sette distinte operazioni nove persone responsabili di incendio. Fra i nove fermati, soltanto due allevatori di Buccheri nel Siracusano, padre e figlio sono ancora in cella. A poche settimane dall’ondata di roghi dolosi che ha devastato la Sicilia, tutti gli altri sono riusciti a ottenere una riduzione delle misure cautelari. O perché incensurati, oppure perché contro di loro non c’erano elementi sufficienti per confermare la detenzione cautelare in carcere. Il fatto è che nessuno di loro ha precedenti specifici e la metà è incensurata, dunque ha potuto beneficiare di misure cautelari personali meno pesanti. L’ultimo è un 50enne palermitano sorpreso due giorni fa ad appiccare il fuoco a una montagna di rifiuti a pochi metri dai palazzoni dello Zen di Palermo.

ARRESTI DOMICILIARI

L’uomo era stato messo agli arresti domiciliari due giorni fa, come il piromane di Cammarata, nell’Agrigentino, che l’8 agosto è stato fermato mentre stava incendiando il bosco alle porte del paese. Oggi è libero in attesa di processo e secondo gli inquirenti è uno dei pochi veri piromani in azione quest’estate. «Non aveva alcun interesse personale, non è un allevatore o un forestale a cui non è stato rinnovato il contratto. Non è un contadino incosciente — ha detto il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio —. I piromani che provano piacere nell’appiccare le fiamme e nel vedere arrivare i soccorsi per fortuna sono molto pochi. Dietro la quasi totalità dei roghi ci sono interessi personali».

DUE ANCORA IN CARCERE

Gli unici arrestati in Sicilia ancora in carcere sono i due allevatori di Buccheri nel Siracusano, arrestati il 14 agosto con l’accusa di incendio boschivo. I due, padre e figlio di 60 e 27 anni, sono sono ritenuti responsabili di alcuni dei roghi che hanno devastato le campagne intorno a Buccheri nel mese di luglio. L’obiettivo era quello di ampliare le terre di pascolo per il proprio bestiame e risparmiare sulle spese per l’acquisto del foraggio. Durante le indagini è emersa dalle intercettazioni l’intenzione dei due di appiccare un grosso incendio nel giorno di Ferragosto. «…Tu vedi che esce, il giorno del mezzo agosto, ci sarà un giorno da piangere, tutti accesi sono. Tutti. Come cammini di là arriva. Un giorno è partito da… è partito da quelle isole e c’era il vento, mbare… Lo sai il giardino là sotto, dove c’è il giardino di fronte la ‘Mannuca’? Le gambe lì l’avevo bruciato!…». Per questo è scattato l’arresto e i due sono ancora in cella per il rischio che da liberi tornino a incendiare i terreni.

LA PENA PREVISTA

La pena prevista per aver devastato il territorio, dato fuoco a boschi, campi, immondizia e sterpaglia, va dai 3 ai 7 anni. Condanna che fra sconti di pena per i riti alternativi e le attenuanti arrivano sotto i sotto i tre anni in primo grado, e scendono a poco più di due anni in Appello. Ciò significa che in molti casi gli incendiari non fanno nessun giorno di carcere. Come ripotato da Repubblica, a proposito di questa incongruenza il procuratore Patronaggio ha detto: «Il legislatore deve inserire il reato di incendio doloso fra quelli cosiddetti prioritari. Serve una specie di codice rosso per gli incendi, che consenta di mettere insieme gruppi specializzati di magistrati e inquirenti per agire con maggiore efficacia nelle prime battute delle indagini».

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Pippo Maniscalco