“Mi portavo dentro questo dolore da anni. Non cerco notorietà né visibilità: non me ne faccio niente. Studio, sto diventando un medico“. A rompere il silenzio su Instagram è Marta, la ragazza di 24 anni che ha denunciato pubblicamente a Le Iene e alla Procura una violenza subita da Gioacchino Gargano, youtuber e podcaster di Palermo. Il fatto, raccontato ieri sera in un servizio di Italia 1, avvenne in un villaggio turistico a Ustica quando la ragazza palermitana aveva 17 anni e Gioacchino, 21 anni, lavorava lì come animatore.
L’indomani mattina, dopo la denuncia pubblica in tv, la giovane si è ritrovata inondata da giudizi, tra chi la supporta e chi non ha creduto alla sua versione dei fatti: “Non rispondo ai migliaia di insulti che ho ricevuto, ma leggo con il cuore aperto le parole delle persone che mi stanno supportando, dicendomi che sono stata la voce di tutte le donne che non hanno mai avuto la forza di denunciare”, scrive sulle storie di Instagram.
Marta ha spiegato nel dettaglio perché a distanza di 8 anni abbia deciso di denunciare pubblicamente, sia alla Procura che a Le Iene, la violenza che avrebbe subito da Gargano: “Perché non ho parlato prima? Perché avevo 17 anni. Avevo paura di affrontare un processo e in modo ignorante e ingenuo pensavo che, non essendoci stata una penetrazione vera e propria, non si trattasse di violenza sessuale. Avevo 17 anni, oggi ne ho 24 e so come funziona il mondo”
“Non mi sono svegliata una mattina con l’intento di rovinare qualcuno. Mi porto dentro questo dolore da anni. Probabilmente avrei continuato a tenerlo sepolto dentro di me, se non avessi sentito le parole di quella persona. Parole con cui, ipocritamente, parlava di rispetto e di violenza sulle donne – prosegue la studentessa di Medicina- Questa è la verità: è ciò che ho raccontato all’ispettore, ciò che ha confermato mia madre, ciò che hanno visto e saputo i testimoni e lo staff del villaggio“.
Poi la giovane di Palermo si è aperta a una riflessione più ampia: “Perché si viene giudicate prima ancora di essere ascoltate. Perché la vittima deve sempre difendersi, giustificarsi, dimostrare di non essersela cercata. Perché ogni parola viene messa in dubbio, ogni gesto viene analizzato, ogni sorriso viene scambiato per consenso. Si ha più paura di essere umiliate una seconda volta che di affrontare il proprio dolore. Il processo mediatico è spesso più violento della violenza stessa. La paura, la vergogna e la colpa ti tolgono la voce. E quando finalmente la ritrovi, il mondo ti dice che hai parlato troppo“.