Cronaca di Palermo

Condannato per l’omicidio Burgio alla Vucciria, il giudice dice no alla sorveglianza speciale: “Non è pericoloso”

Condannato a 15 anni in via definitiva per aver partecipato all’omicidio di Emanuele Burgio, ucciso a colpi d’arma da fuoco alla Vucciria nel maggio del 2021, Giovanni Battista Romano non andrà incontro alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Palermo richiesta della questura nei suoi confronti. Così ha deciso il Tribunale di Palermo,Sezione I^ Penale – Misure di Prevenzione, presieduta da Ettorina Contino, stabilendo che Romano non sia da ritenersi pericoloso e rigettando quindi la richiesta.

I giudici hanno accolto le tesi degli avvocati Giovanni Castronovo e Maria Lo Verde, secondo cui l’istanza della questura sarebbe infondata perché “pur senza trascurare l’estrema gravità dei fatti per cui è da ultimo intervenuta condanna irrevocabile a carico di Romano, nel caso di specie difetta il requisito della dedizione alla commissione di reati pericolosi per la salute, sicurezza e tranquillità pubblica, necessaria ai fini della riconduzione del proposto nella categoria di pericolosità”.

Omicidio Burgio, rigettata richiesta di sorveglianza speciale per Romano

L’omicidio non è stato commesso né con l’aggravante della premeditazione né con quella mafiosa: “Seppure possa ritenersi accertato che Romano il 31 maggio 2021 abbia contribuito all’efferato omicidio in danno di Burgio – si legge infatti nel provvedimento – recandosi sul luogo dell’attentato insieme agli altri coimputati (Domenico e Matteo Romano, ndr) e fornendo appena un minuto prima degli spari all’autore materiale del delitto la pistola utilizzata per commetterlo, non sussiste la prova, neanche a livello indiziario, che tale gravissimo atto di sangue sia stato commesso con metodo mafioso e/o sia stato funzionale agli interessi dell’associazione mafiosa”.

Per i giudici “non appaiono indizianti”, infatti, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Alessio Puccio secondo cui Domenico Romano avrebbe chiesto protezione per il figlio, dopo l’omicidio, ricevendo rassicurazioni da esponenti della famiglia mafiosa del Borgo Vecchio. “Anche prescindendo dalla credibilità soggettiva del Puccio con la sentenza di primo grado (non impugnata sul punto) la Corte d’Assise ha evidenziato che, anche ove le dichiarazioni del collaborante dovessero ritenersi veritiere, le stesse dimostrerebbero al più “il tentativo di Domenico di richiedere una forma di protezione ‘postuma’ per l’azione, del tutto avulsa dal contesto mafioso, commessa dal figlio”, e non già la commissione del delitto nell’interesse dell’associazione mafiosa“.

Insomma, secondo i giudici, “anche ipotizzando la ritenuta contiguità di Romano Domenico con esponenti mafiosi, non risulta, allo stato, che l’omicidio sia stato funzionale agli interessi dell’associazione
mafiosa Cosa Nostra e che il proposto sia entrato in rapporto sinallagmatico con la stessa, essendo stato per converso accertato che l’atto omicidiario è scaturito da un’accesa discussione, in qualche modo innescata dallo stesso Burgio, estranea a vicende di tipo mafioso”.

Romano “non può inquadrarsi in nessuna delle categorie di pericolosità tipizzate dal legislatore”, dunque la richiesta della misura di prevenzione personale è stata rigettata.

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Redazione PL