CIRCOLARE INPS – STOP REVERSIBILITÀ: se non hai firmato questo documento nel 2016 ora è tardi | Appena muore il coniuge perdi tutto
matrimonio (pexels) - palermolive
Una sentenza della Cassazione conferma la linea dura: per chi era in una convivenza di fatto prima del 5 giugno 2016, la reversibilità non è un diritto
Per anni le convivenze di fatto sono rimaste in una sorta di limbo giuridico: relazioni stabili, durature, spesso più solide di tanti matrimoni, ma senza alcun riconoscimento formale. Poi è arrivata la Legge Cirinnà, nel 2016, a cambiare le cose. Ma non per tutti.
C’è chi ha vissuto per decenni accanto al proprio compagno, condividendo casa, spese, malattie e sogni, salvo poi scoprire – nel momento più fragile, alla morte dell’altro – di non avere diritto a nulla. Né casa, né eredità, né pensione di reversibilità. Nemmeno un euro, nemmeno una lettera di riconoscimento dallo Stato.
A stabilirlo, nero su bianco, è stata la Corte di Cassazione. In una sentenza che ha fatto discutere e continuerà a farlo, i giudici hanno dichiarato che se una convivenza di fatto si è conclusa prima dell’entrata in vigore della legge Cirinnà, allora non c’è alcun margine per reclamare i benefici che da essa derivano.
In pratica, chi ha perso il proprio compagno prima del 5 giugno 2016 ed era in una semplice convivenza – anche se affettivamente e sostanzialmente identica a un matrimonio – resta fuori da ogni diritto.
La legge Cirinnà non è retroattiva
Non conta quanto fosse stabile la relazione, né se la coppia fosse pubblicamente riconosciuta. La legge n. 76 del 20 maggio 2016 ha introdotto un cambio epocale: per la prima volta, in Italia, si è riconosciuta l’unione civile tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto, con una serie di diritti e doveri paragonabili a quelli del matrimonio. Ma – e qui sta il punto cruciale – la legge non è retroattiva.
Nel caso analizzato dalla Cassazione con la sentenza n. 24694 del 14 settembre 2021, un uomo aveva chiesto la pensione di reversibilità del suo compagno, un architetto iscritto all’Inarcassa e deceduto prima dell’estate 2016. La coppia aveva convissuto a lungo, ma non aveva mai potuto formalizzare un’unione civile, perché all’epoca non esisteva lo strumento giuridico per farlo. Quando ha fatto richiesta della pensione, l’INPS ha detto no. E i giudici hanno confermato quel no: “La normativa del 2016 – si legge in sentenza – è inapplicabile al caso di specie”. Il motivo? La vicenda si era “interamente svolta ed è cessata in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge”.
Nessun diritto acquisito, se la legge non esisteva
Chi pensava che il principio dell’equità o del riconoscimento sociale potesse bastare, si sbagliava. La Corte ha chiarito che la pensione di reversibilità è un diritto derivante da una precisa forma giuridica di unione: se questa non è mai esistita, la reversibilità non può essere riconosciuta. Nemmeno se la convivenza era registrata all’anagrafe o se vi erano prove concrete della comunanza di vita.
E non è una questione di mancanza di sensibilità o di chiusura mentale: è una questione di diritto. Per quanto doloroso, il principio della non retroattività delle leggi serve a evitare confusione e incertezza nel sistema giuridico. Ma quando a farne le spese è chi ha vissuto una vita intera al fianco di un partner, è difficile accettare che non esista alcun diritto.