Casa, scatta il piano “ristrutturazione forzata”: se anche la tua è ridotta così devi farla nuova | Ti costerà 30.000€

Ristrutturazione forzata - fonte pexels - palermolive.it
Una spesa inaspettata per chi è proprietario di questo tipo di immobile, sei costretto a ristrutturare per legge
La gestione degli immobili ereditari è spesso fonte di controversie tra coeredi, specialmente quando uno di essi interviene a proprie spese per ristrutturare un bene in comunione. Una delle domande più frequenti in questo ambito è se il coerede che sostiene tali costi possa legittimamente pretendere un rimborso dagli altri partecipanti all’eredità. La risposta della Cassazione è chiara e articolata, e offre un importante punto di riferimento giuridico.
La questione è stata oggetto di valutazione nella sentenza n. 3050 del 2020 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione. In questo caso, due coeredi avevano citato in giudizio altri familiari per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria e la corresponsione dei frutti civili derivanti dall’uso esclusivo di un immobile. Uno dei convenuti, a sua volta, ha chiesto il rimborso di 150.000 euro per i lavori di ristrutturazione da lui eseguiti su uno degli immobili.
In primo grado, il Tribunale ha accolto in parte le richieste degli attori, ma ha rigettato quella del convenuto relativa al rimborso delle spese di ristrutturazione. Anche in appello, la decisione non è stata favorevole al coerede che aveva sostenuto i costi, vedendosi riconoscere solo una riduzione degli importi dovuti per i frutti civili. Nessuna apertura, quindi, per il rimborso delle migliorie.
Il coerede ha allora proposto ricorso in Cassazione, basandosi sull’art. 1720 del codice civile, che disciplina l’obbligo del mandante di rimborsare al mandatario le spese sostenute nell’interesse comune. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, riconoscendo che il coerede può essere considerato mandatario o gestore utile degli altri eredi.
Il principio stabilito dalla Suprema Corte
La Cassazione ha chiarito che il coerede che migliora un bene comune può ottenere un rimborso per le spese sostenute, non sulla base dell’aumento di valore della cosa (come previsto per il possessore di buona fede dall’art. 1150 c.c.), ma per il principio di gestione degli affari altrui. Questo implica un diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute, senza rivalutazione monetaria, trattandosi di un debito di valuta.
Questa posizione non rappresenta un’eccezione, ma un orientamento giurisprudenziale consolidato. Anche l’ordinanza n. 1207 del 17 gennaio 2023 ha confermato che, in regime di comunione ereditaria, i miglioramenti apportati da un coerede ricadono sull’intero patrimonio e non possono giustificare un’azione di indennizzo basata sull’aumento di valore.
Le implicazioni pratiche per i coeredi
Per i coeredi, questo significa che è possibile ottenere un rimborso per le spese sostenute per ristrutturazioni, ma non un compenso ulteriore legato all’incremento del valore del bene. La spesa, inoltre, deve essere giustificata come utile o necessaria e documentata in modo chiaro. Ogni intervento effettuato durante la comunione ereditaria ha effetto su tutta la massa ereditaria e non su singole quote.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta: chi interviene per migliorare un bene in comunione può essere rimborsato, ma solo nei limiti delle spese sostenute. Questa visione tutela chi agisce in buona fede per preservare o valorizzare il patrimonio comune, ma impone attenzione e trasparenza nelle scelte, a garanzia dell’equilibrio tra tutti gli eredi coinvolti.