Cronaca di Palermo

L’atroce mattanza di Altavilla, l’esperto: “Non chiamatela setta, vi spiego perché”

Il torbido e inquietante contesto nel quale si è consumata l’orribile mattanza di Altavilla Milicia ha spinto molti ad interrogarsi sul fenomeno delle sette religiose, portando alla ribalta una deviazione sociale poco nota e troppo spesso minimizzata.

Ma quanto il fenomeno è intrinseco nella tragedia avvenuta nel Palermitano? Secondo Francesco Brunori, vicepresidente dell’AIVS, ‘Associazione italiana vittime delle sette’, nel caso specifico non si può parlare di setta. “Qui non c’è una setta. Non c’è un referente, qualcuno che dia indicazioni. Si tratta di tre persone, anche piuttosto improvvisate, che fanno leva sulle loro paure, sul timore di satana, terrorizzandosi l’un l’altra”, dichiara a Palermo Live.  “Le sette, intese nel senso più generale del termine, non istigano mai ad uccidere. Che poi ci siano all’interno situazioni di violenza fisica e psicologica, è indubbio. Ciò che vogliono sono profitti, soldi, servizi. La situazione di schiavitù per loro paga molto di più di un omicidio. Non è ciò che gli interessa”.

Riguardo alla tragedia di Altavilla, si è parlato molto della religione evangelica. Il Barreca, l’autore del triplice omicidio, si proclamava evangelista così come la coppia palermitana presunta complice del massacro. È vero che esistono determinati gruppi religiosi che tendono più di altri a ramificarsi verso forme alternative di spiritualità?

“I pastori evangelici di stampo pentecostale hanno il diritto di proclamarsi pastori secondo il loro modo di pensare. Precisiamo che le chiese evangeliche rappresentano una costola del protestantesimo. Sia per la cristianità cattolica che per quella protestante, il tutto si è poi diramato in altre realtà. I pentecostali si autoproclamano pastori, vescovi e preti della loro comunità. Una sorta di autocefalia, facendo leva sulla loro dote di comunicatori”.

Perché molta gente cade preda delle sette?

“Il comportamento dell’adepto può essere riassunto con la parabola della ranocchia e dell’acqua calda. Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso e l’acqua si riscalda, diventando tiepida. La rana la trova gradevole e continua a nuotare, finché la temperatura sale, diventa troppo calda. La rana si è indebolita, non ha la forza di reagire, fino al momento in cui muore. Così molti rimangono incastrati”.

Secondo le stime approssimative da voi raccolte nel 2018, sono circa 500 i gruppi/associazioni settarie su tutto il territorio nazionale. Circa 4 milioni i cittadini coinvolti a vario titolo e grado. C’è una differenza nella diffusione di sette religiose tra Nord e Sud Italia?

“Il retaggio culturale è diverso e quindi si impiantano, a seconda della posizione geografica, certi tipi di gruppi. Quelli di stampo economico-religioso e sul potenziale umano, che cercano principalmente denaro, operano ad esempio al Nord. Il Sud, che è profondamente più religioso, si è invece tramutato in un campo fertile per le sette che cercano tanti potenziali adepti, sempre e comunque dentro una matrice cristiana. Santoni, guru, guaritori. Le sette pentecostali sono ad esempio nettamente più diffuse al meridione”.

Qual è solitamente il campanello d’allarme?

“Generalmente è uno shock, qualcosa che li possa scuotere. Timidamente iniziano poi ad informarsi, soprattutto tramite internet che dà purtroppo molte possibilità su come adescare ma fortunatamente anche su come uscirne. Pian piano cominciano ad avere dei dubbi. Se già si insinua il dubbio, è un grande passo avanti. Importantissimo anche il ruolo dei familiari, stando sempre attenti a non aggredire rischiando altrimenti che l’adepto si rifugi tra le braccia della setta”.

Da anni rappresentate un importante punto di riferimento per le innumerevoli vittime di sette e per i loro familiari. Qual è il vostro supporto? Come intervenite?

“Siamo tutti dei volontari, di certo non andiamo a cercare il guru di turno. Lavoriamo su segnalazioni. Bisogna essere anche molto prudenti perché a volte sono mere fantasie o situazioni di disagio psicologico. A prescindere da questo, veniamo affiancati da degli psicologi. Se poi notiamo che c’è una situazione di plagio, cerchiamo di dare una mano. Quasi sempre non ci contatta l’adepto ma un familiare. Il problema sorge perché a denunciare deve essere direttamente la persona lesa, altrimenti non possiamo intervenire. Molti poi si ritraggono arrestando la catena”.

Per finire, che idea si è fatto su quanto accaduto ad Altavilla Milicia?

“Considerate chiaramente ancora le indagini in corso, credo che in questa famiglia la moglie abbia sempre dovuto subire le follie del marito. Ad incitarlo nella sua follia, sicuramente i problemi che tutte le famiglie possono avere, tra cui quelli economici, che gli hanno inclinato certe certezze. Di base, ritengo ci siano gravi problemi psicologici che coinvolgono tutti e tre gli accusati”.

 

Published by
Cristina Riggio