Allerta prosciutto crudo, altro che San Daniele: lo fanno con porcherie terribili | Se ha questo marchio a fuoco non darlo nemmeno al cane
Prosciutto crudo - fonte pexels - palermolive.it
Frode in commercio per l’alimentazione dei maiali destinati al San Daniele: un danno all’autenticità del prodotto
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35121, ha stabilito un principio giuridico chiaro e di rilevante impatto sulla filiera agroalimentare italiana: alimentare i maiali destinati alla produzione del prosciutto di San Daniele con scarti alimentari non ammessi dal disciplinare equivale a commettere frode in commercio. Una decisione che pone l’accento sulla necessità di rispettare rigorosamente i criteri stabiliti per ottenere la denominazione di origine protetta.
Il disciplinare del prosciutto di San Daniele è preciso e vincolante. Prevede, tra le altre cose, che l’alimentazione dei suini sia basata su una dieta vegetale composta da cereali nobili. Questo vincolo non è un dettaglio formale, ma un requisito fondamentale per garantire la qualità e la tipicità del prodotto finale. Qualsiasi deviazione da questi standard, come è avvenuto nel caso giudicato, rappresenta una violazione delle regole che tutelano il consumatore e l’intera filiera.
Il caso ha riguardato un allevatore che, secondo quanto emerso dalle indagini, nutriva i suoi suini anche con scarti di pizza, pane e pasta, in quantità tali da rendere evidente l’uso sistematico di questi alimenti. La Corte ha giudicato infondata la difesa dell’uomo, secondo cui tali pratiche potevano rientrare in una presunta tolleranza del Consorzio del San Daniele. Le testimonianze dei dipendenti e la documentazione degli acquisti hanno invece dimostrato una pratica contraria allo spirito del disciplinare.
La sentenza sottolinea come l’uso di alimenti non previsti alteri l’origine, la qualità e la genuinità del prosciutto, andando a compromettere la fiducia dei consumatori e l’autenticità della denominazione. In particolare, la Corte ha rilevato che la condotta dell’allevatore ha generato un inganno verso il mercato, vendendo carni di animali alimentati in modo non conforme come se fossero prodotti Dop, quindi di qualità garantita.
Il ruolo delle indagini documentali
Una parte rilevante del processo ha riguardato la ricostruzione degli acquisti effettuati dall’allevatore e la loro relazione con il numero di animali presenti in azienda. Gli inquirenti hanno infatti evidenziato che circa l’80% degli alimenti acquistati, pur formalmente destinati allo smaltimento, non poteva verosimilmente essere stato buttato. Questo elemento ha rafforzato la prova dell’utilizzo illecito dei prodotti nella dieta dei maiali.
La sentenza rappresenta un precedente significativo per la giurisprudenza italiana in materia di frodi alimentari. La Cassazione ha ribadito che non esistono zone grigie o eccezioni tollerate nel rispetto di disciplinari rigorosi come quelli delle Dop. Ogni deviazione intenzionale è penalmente rilevante, con conseguenze non solo per chi la compie, ma anche per la reputazione dell’intera filiera produttiva.
Un messaggio chiaro al comparto agroalimentare
Questo episodio segue altri scandali legati alla produzione di prosciutti a denominazione, come quelli relativi all’uso di razze suine non ammesse. La Corte, nel confermare la condanna, invia un segnale inequivocabile: la qualità certificata deve essere reale e trasparente. Ogni tentativo di inganno, anche attraverso pratiche apparentemente minori, verrà sanzionato con severità.
La decisione della Cassazione rafforza la tutela dei consumatori e conferma l’impegno delle istituzioni nel salvaguardare le eccellenze italiane. Il rispetto dei disciplinari non è solo un dovere legale, ma anche un impegno etico nei confronti di chi acquista un prodotto certificato con la convinzione che dietro a quel marchio vi sia una filiera controllata, trasparente e rispettosa delle regole.