Salute e Famiglia

Affido familiare temporaneo: caratteristiche, pregi e lacune delle leggi attualmente in vigore

Prosegue l’approfondimento sui temi legati ad affido e di adozione di minori, grazie al contributo dell’avvocato Lena, socio A.F.A.P., (Associazione Famiglie Affidatarie Palermo). Chiarite le caratteristiche peculiari delle due pratiche, e le conseguenze su di esse dovute al lungo periodo di pandemia, ci soffermiamo ora su altri aspetti specifici del tema.

QUANDO L’AFFIDO PUÓ TRASFORMARSI IN ADOZIONE?

«Con la legge 19 ottobre 2015, n. 173, recante modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 – ricorda l’avvocato Lena – si è affermato il così detto “diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”. Si è cioè riconosciuta la possibilità di trasformare l’affido in adozione, consolidando definitivamente il rapporto affettivo creato negli anni tra genitori affidatari e minori affidati.

Come già specificato in precedenza l’affido è temporaneo, potendo durare 24 mesi eventualmente prorogabili, durante i quali è importante che vengano mantenuti i rapporti tra il minore e la famiglia di origine, in vista del suo rientro a casa. Spesso accade, però, che l’affido si protrae nel tempo, in quanto non si realizzano le condizioni per tale rientro, prolungandosi addirittura fino al raggiungimento della maggiore età. Mentre in determinate situazioni l’affido può trasformarsi in adozione, nel momento in cui il Tibunale dei Minori, su istanza del PM, dichiara lo stato di abbandono materiale e morale del minore, e pertanto ne dichiara la sua adottabilità.

QUANTO CONTA LA VOLONTÀ DEL MINORE?

La legge sul diritto alla continuità affettiva – procede – guarda con favore i legami creatisi in seguito all’affidamento, che diventano importanti quando il rapporto che si è instaurato tra il minore e la famiglia affidataria ha determinato una relazione profonda proprio sul piano affettivo. Ma tale possibilità comunque non rappresenta la regola, in quanto l’affido può trasformarsi in adozione solo se sussistono determinati presupposti. Ovvero solo se gli affidatari rispondono a tutti i requisiti richiesti per l’adozione: stabile rapporto di coppia; idoneità all’adozione; differenza di età con gli adottati.

Il tribunale, nel decidere, non solo deve tenere conto della valutazione dei servizi sociali, ma anche procedere all’ascolto del minore ultradodicenne e, se capace di discernimento, anche del minore infradodicenne. Pertanto appare chiaro che la volontà del minore è sempre un elemento dominante affinché anche l’adozione possa andare a buon fine.»

AFFIDO: PROCEDURA PIÚ SEMPLICE CHE TUTTI POSSONO RICHIEDERE

«Lo scopo dell’affido familiare è quello di porre temporaneamente rimedio alle difficoltà della famiglia di origine – rimarca l’avvocato Lena –. È disposto dal tribunale dei minorenni in casi specifici, circostanze per le quali il minore viene privato di un ambiente familiare idoneo. A differenza dell’adozione, la procedura è molto più semplice in quanto possono accedervi le coppie sposate, i conviventi oppure le persone single. Unico requisito richiesto è avere la disponibilità di una casa in cui accogliere il minore ed essere in grado di provvedere alle sue esigenze, sia dal punto di vista economico che affettivo.

Pertanto è evidente la differenza tra affido e adozione – prosegue -.  Si tratta di due istituti finalizzati a garantire assistenza al minore con difficoltà familiari nel primo caso ed in stato di abbandono nel secondo. Tuttavia, con l’adozione il bambino diventa figlio adottivo dei genitori affidatari e non ha più rapporti con la propria famiglia di origine (ad eccezione di determinati casi). Nell’affido, invece, che è temporaneo, il minore conserva lo status di figlio dei suoi genitori naturali (dai quali tornerà appena possibile).

La sicurezza, nel caso di affido, a cui deve aspirare il minore, non è quella di una coppia con un legame stabile che possa prendere il posto dei genitori naturali, ma semplicemente una figura di riferimento, disponibile ad accoglierlo e a colmare i suoi vuoti affettivi affinché possa ritrovare una serenità e possa sviluppare le proprie capacità intellettive, emotive e sociali.»

AFFIDO: UNA PRATICA DAL “DUPLICE OBIETTIVO”

«La Legge n. 184 del 1983 disciplina l’istituto dell’affidamento familiare, che come più volte puntualizzato, ha lo scopo di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, che ostacolino il diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine, la legge dispone, in favore della famiglia di origine, interventi di sostegno e di aiuto, perché nei progetti di affido familiare c’è un duplice obiettivo e si segue un doppio binario. Da un lato si cerca di dare stabilità al minore, garantendo allo stesso una crescita all’interno di un contesto familiare; dall’altro lato i servizi si impegnano a monitorare la famiglia di origine, ad assisterli e garantirgli un sostegno affinché questi possano recuperare le loro capacità genitoriali.»

AFFIDO FAMILIARE, GLI ASPETTI LEGALI: ALCUNE LACUNE NELLE LEGGI PRESENTI

«In data 9 dicembre 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 292 il Decreto Legge 26 novembre 2021 n. 206, che ha apportato importanti riforme anche nell’ambito del diritto di famiglia – ricorda l’avvocato Lena -. In particolare istituendo il “Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie”, quindi: la previsione di un rito unico per le famiglie; una più efficace tutela per le donne ed i minori che subiscono violenza, attraverso la previsione della necessaria nomina di un curatore speciale a tutela del soggetto minore di età. Il diritto di famiglia da tempo reclamava una riforma ampia ed organica.

A mio modesto parere, ed in qualità di socia dell’Associazione Famiglie Affidatarie di Palermo (AFAP), nell’accogliere favorevolmente le finalità ed il contenuto della suddetta legge, mi preme evidenziare alcune riserve in merito a molteplici aspetti che purtroppo non sono stati presi in considerazione. Ma che in realtà continuano ad essere delle lacune presenti nella legge sull’affido familiare. Soffermandomi brevemente solo su alcune, mi viene subito alla mente il “prosieguo
amministrativo”.

IL “PROSIEGUO AMMINISTRATIVO”

L’ istituto del proseguo amministrativo trova già applicazione in ambito penale ed è disciplinato dal R.D.L. 1404/34, che permette di assicurare continuità agli interventi educativi nei confronti di adolescenti che hanno compiuto la maggiore età. Interventi che possono essere prolungati fino al compimento dei 21 anni.

Il suddetto istituto è applicato anche ai minori stranieri non accompagnati. L’art. 13 infatti dispone quanto segue: ”Quando un minore straniero non accompagnato, al compimento della maggiore età, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale, necessita di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato all’autonomia. Il tribunale per i minorenni può disporre, anche su richiesta dei servizi sociali, con decreto motivato, l’affidamento ai servizi sociali, comunque non oltre il compimento del ventunesimo anno di età”.

“MOLTI TRIBUNALI NON CONCEDONO IL PROSIEGUO AMMINISTRATIVO”

L’ attuale formulazione della L. n. 184/1983 stabilisce che “ l’affido familiare termina comunque al raggiungimento della maggiore età, quando il ragazzo acquisisce la facoltà giuridica di poter decidere della sua vita”. Sono circa tremila ogni anno i neo maggiorenni che in Italia escono dalle strutture di accoglienza o dalle famiglie che li accolgono e di loro non si sa più nulla. Quanti di loro riescono a realizzarsi? Quanti invece si ritrovano nuovamente a cercare un aiuto assistenzialistico?

Basti considerare che la maggior parte di loro, all’età di 18 anni non sono riusciti a terminare il percorso di studi. In Italia tra l’altro vi è una realtà a macchia di leopardo. Infatti molte regioni, principalmente quelle del nord, hanno, nel proprio regolamento interno, istituito per i ragazzi neomaggiorenni, un sostegno economico per tre anni alle famiglie che proseguono l’affido per superare il paradosso della richiesta di un’autonomia piena in situazioni di crescita difficile.

Di contro, invece, molti tribunali per i minorenni non danno il “proseguo amministrativo” che permette di continuare ad assistere i giovani fino ai 21 anni e accompagnarli all’autonomia. Siamo certamente tutti concordi nell’affermare che il compimento del 18° anno di età non è e non può essere considerato il momento terminale di un intervento educativo, nei
confronti del minore affidato, proprio per il fine a cui tende la Legge 184/1983 “…assicurare il mantenimento, l’educazione e l’istruzione al minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo.”

AFFIDO FAMILIARE: PROPOSTE PER RENDERE PIÙ SICURA E ACCESSIBILE LA PRATICA

«Ed ancora – sottolinea l’avvocato Lena – si dovrebbe mirare a: rafforzamento delle reti territoriali; aumento e qualificazione dell’informazione sull’affido familiare; percorsi di formazione e accompagnamento; procedure per la selezione delle famiglie/persone singole affidatarie, idonee ad accogliere. Richiedendo, per esempio, agli aspiranti affidatari, come requisito il certificato del casellario giudiziario ed i carichi pendenti (così come avviene per la domanda di adozione) per la tutela del superiore interesse del minore.

L’istituto dell’affidamento familiare dovrebbe essere portato alla conoscenza di tutti. Potrebbe anche essere utile proporre l’affido a chi decide di intraprendere il percorso dell’adozione. Perché se si ha il cuore, il coraggio e la disponibilità ad accogliere un bambino, facendolo diventare parte integrante del nucleo familiare, magari conoscendo l’affido familiare si può decidere di fare una scelta diversa con identico fine, offrire una possibilità ad un bambino.»

 

 

 

Published by
Michele Cusumano