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A Mariupol bimbo di 18 mesi ucciso dai bombardamenti delle truppe russe

Due giovanissimi genitori, Marina e Fedor Yatsko, entrano correndo nell’ospedale di Mariupol, semi distrutto dai bombardamenti delle truppe russe. Hanno con loro un bimbo di 18 mesi, avvolto in una coperta. Urlano, chiedono aiuto, perché il piccolo è rimasto ferito. La maglietta grigia di Marina è sporca di sangue. I medici intervengono, ma non c’è la corrente elettrica, manca tutto, per visitarlo usano la torcia di uno smartphone. Provano a mettere una maschera di ossigeno al piccolo, a usare il defibrillatore, la mamma urla «perché, perché». Il marito l’abbraccia ma non ha una risposta, non c’è una risposta. Kirill muore. Un bravo fotografo dell’Ap ferma quelle immagini, non lo bloccano perché tutti sanno che è importante non dimenticare. Un medico dice «falle vedere a Putin, queste foto». Un altro medico si accascia, la testa tra le braccia. Le energie che ha speso, fino all’ultimo, per salvare Kirill sono svanite. Mariupol era la città che doveva essere evacuata, grazie ai corridoi umanitari. Ma la Russia non ha rispettato il cessate il fuoco.

PUTIN NON GLI HA CONSENTITO DI AVEE UNA VITA

Kirill aveva 18 mesi, ed è morto a Mariupol, nel sud est dell’Ucraina, sotto i bombardamenti. Perché c’è una invasione militare che non risparmia i bambini, decisa da un potente signore di 70 anni in un palazzo a Mosca, a più di 1.200 chilometri. Ed è stato ucciso, non gli è stato consentito di avere una vita. La foto del suo corpicino, protetto da una coperta celeste, i genitori in lacrime che lo stringono, rappresnta uno dei tanti simboli dell’orrore di questa aggressione militare. Ma c’è un’altra foto, scattata poco dopo, che va osservata. Quella di un medico dell’ospedale, in ginocchio, in lacrime, perché non è riuscito a salvare il bambino, e perché forse non riuscirà a salvarne altri. E perché, forse, non riuscirà a salvare se stesso.

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Published by
Pippo Maniscalco